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Scorza: “Stop al business online sulla pelle dei minori” - Intervento di Guido Scorza

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Scorza: “Stop al business online sulla pelle dei minori”
Non è possibile tollerare oltre la circostanza che utenti-bambini, nella dimensione digitale, siano trattati troppo spesso come vitellini da mungere, dai quali trarre profitto, attraverso lo sfruttamento commerciale dei loro dati personali. Il vento è cambiato. Ecco come affrontare il problema
Intervento di Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali
(AgendaDigitale, 9 febbraio 2023)

Vietare gli “esperimenti sociali” realizzati trattando i dati personali dei più piccoli a scopo di profitto.

È questa la richiesta che il Presidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden ha appena indirizzato al Congresso nel corso del suo discorso sullo stato dell’Unione.

Un j’accuse – per la verità non nuovo, né originale da parte del Presidente americano – all’indirizzo delle bigtech e, al tempo stesso, una richiesta di intervento urgente e deciso alla politica americana.

Le parole del Presidente Biden arrivano quasi contemporaneamente a quelle risuonate da più parti, anche in Italia, ieri nel corso del Safer Internet Day promosso da Telefono Azzurro presso la Camera dei Deputati e segnano una straordinaria – specie in materia di protezione dei dati personali – comunanza di intenti tra Italia e Stati Uniti.

Stop all’abuso di dati dei minori online

Probabilmente si è, ormai, diffusa la consapevolezza che si sia passato il segno e che non è possibile tollerare oltre la circostanza che utenti-bambini, nella dimensione digitale, siano trattati troppo spesso come vitellini da mungere, dai quali trarre profitto, attraverso lo sfruttamento commerciale dei loro dati personali.

Siamo, probabilmente, a un giro di boa nell’Internet commerciale e per completarlo serve dare forma, concretezza e attuazione a quell’agenda digitale dei bambini e per i bambini che ieri Telefono Azzurro ha chiesto al Governo di fare propria.

Tre, tra gli altri, i punti qualificanti.

Il primo

Una ricerca di SWG e Italian Tech, presentata ieri sempre nel corso del Safer Internet Day racconta che il 75% dei nostri bambini inizia a usare lo smartphone tra i 6 e i 9 anni e il 96% tra i 10 e i 13.

Ma per farci cosa se la più parte dei servizi, delle app e delle piattaforme digitali sono riservati – o, almeno, dichiarano di essere riservati – a chi ha almeno 13 anni?

Una risposta ce la offre, probabilmente, una recente ricerca della Ofcom, l’Autorità Garante per le comunicazioni britannica: un bambino su tre, online, mente sulla sua età, per entrare in piattaforme e usare app e servizi che non dovrebbe utilizzare.

Questo significa che piccole e grandi piattaforme digitali riservate a un pubblico, quasi mai più giovane di tredici anni e talvolta, non più giovane di diciotto sono letteralmente gremite di bambini che non dovrebbero esserci.

Gravi, gravissime le conseguenze che possono travolgere i più piccoli quando si ritrovano a usare servizi non disegnati, progettati e sviluppati per loro: dipendenze, challenge pericolosissime, scambi inconsapevoli e iniqui di dati personali anche preziosi contro servizi, episodi di adescamento online e pornografia non consensuale.

Tutto quanto il peggio che il web propone sull’altra faccia della medaglia rispetto a quella delle straordinarie opportunità che ci offre.

Ma attenzione: il punto non è tenere fuori i bambini dal digitale, ma tenerli fuori da quella parte del digitale che non è disegnata, progettata e sviluppata per loro.

Si tratta, in altre parole, di verificare – ma per davvero – la loro età – e non la loro identità – sulla porta di piattaforme, app e servizi digitali: chi ha quella necessaria per ciascuno specifico servizio entra, chi non ce l’ha resta fuori, ne usa di diversi e aspetta di averla.

Le soluzioni ormai ci sono.

Il ricorso a terze parti fidate come anche in Francia si sta pensando di fare per tenere i minorenni fuori dalla galassia del porno online, per esempio, sembra una strada percorribile.

Il secondo

Nella dimensione digitale, sempre più spesso – e Biden nel suo discorso sullo stato dell’Unione sembra averlo chiaro – i bambini pagano in dati personali servizi, contenuti – specie video – e videogiochi, impegnandosi a cedere i loro dati personali al gestore della piattaforma o del servizio, in cambio della possibilità di comunicare, giocare, condividere contenuti.

Non se ne accorgono, non ne hanno alcuna consapevolezza ma, nella sostanza, firmano un contratto con il quale barattano un po’ di loro stessi con qualche ora di spensieratezza, gioco o informazione.

I contratti in questione, secondo la legge italiana, sono, per ora, semplicemente annullabili ovvero destinati a perdere di efficacia solo in caso di contestazione da parte del bambino per il tramite dei suoi genitori, davanti a un giudice.

E, ovviamente, nessuno ha mai investito, tempo, soldi e pazienza per ottenere l’annullamento di un simile contratto.

Ma si tratta di contratti che i bambini non hanno la capacità di concludere perché non sono in grado di apprezzare quanto vale ciò a cui rinunciano – una porzione più o meno rilevante della loro identità personale – e quanto vale ciò che acquistano.

Sembra arrivato il momento di stabilire, per legge, che i contratti con i quali bambini e adolescenti barattano dati personali contro servizi digitali sono privi di ogni efficacia e che, quindi, i dati dei più piccoli non possono essere trattati dai gestori delle piattaforme sulla base di questi contratti.

Terzo

Viviamo in una stagione della vita del mondo nella quale il software e le interfacce contano più delle leggi e nella quale tutti – grandi e bambini – facciamo quello che software e interfacce ci rendono più facile fare.

Serve, è urgente, è indispensabile che le grandi piattaforme, le app, i servizi digitali rendano immediatamente accessibile e utilizzabile, per i più piccoli, un pulsante – bello, grande e colorato come quelli con i quali si viene invitati a iniziare a usare un’app o un servizio – con il quale chiedere aiuto.

Serve un contatto diretto per i minori al Telefono Azzurro

In Italia abbiamo il numero di emergenza bambini, gestito per conto del Governo, da Telefono Azzurro.

Ecco basterebbe che quel numero fosse contattabile dai più piccoli da tutte le principali piattaforme, app e servizi digitali, semplicemente cliccando o tappando su un pulsante e sarebbe sostanzialmente giusto che gli oneri connessi alla gestione di questo servizio gravassero su chi, grazie a quelle piattaforme fa, del tutto legittimamente fino a prova contraria, business.

Si può fare tanto, insomma, dalla parte dei bambini, davvero con poco e la distanza tra farlo e non farlo è solo un po’ di buona volontà.

E, finalmente, sembra che da una parte all’altra dell’oceano i più siano convinti che il momento di agire è ora.