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Regolamentare le Big Tech? Oltre ai ricavi c`è di più - Intervento di Guido Scorza - MF

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Regolamentare le Big Tech? Oltre ai ricavi c`è di più
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(MF, 12 febbraio 2022)

Meta vale la metà di quanto valeva Facebook, anzi meno della metà. Seicento miliardi di capitalizzazione in queste ore contro quasi il triplo di qualche settimana fa. Facile fare battute: nomen omen potrebbe dirsi. II destino ha aggiunto un accento alla nuova denominazione del gigante dei social network e i mercati finanziari sono passati dalle parole ai fatti. L'analisi sulle ragioni del crollo del valore delle azioni della creatura di Mark Zuckerberg sono diverse, ma tutte egualmente incerte. Quanto accaduto, tuttavia, suggerisce alcune considerazioni che trascendono la vicenda di Meta e che guardano più in generale all'ecosistema digitale e all'approccio che si dovrebbe avere nel governarlo. Qualche giorno fa, MF-Milano Finanza ha segnalato come se da un lato il dimezzamento del valore delle azioni di Meta sarà causa di mal di pancia in azienda, dall'altro potrebbe suggerire sorrisi e sospiri di sollievo giacché il limite dei seicento miliardi di capitalizzazione è proprio quello identificato in un disegno di legge americano come parametro oltre cui imporre alle società una serie di obblighi antitrust più stringenti. Chi sta sotto è più libero di chi lo supera.

Il punto è l'idea di provare a governare i mercati e sistemi in cui operano i grandi fornitori di servizi digitali attraverso regole, come quelle sul valore delle azioni o dei fatturati, forse superate dai tempi.

Ìn fondo lo stesso Digital Market Act, grande scommessa di regolamentazione della dimensione digitale delle Istituzioni europee, punta a identificare i soggetti da sottoporre a speciali obblighi di natura non solo antitrust sulla base di parametri di tipo quantitativo e essenzialmente economici: il fatturato e il numero di utenti, quest'ultimo ben più significativo del primo. D'altra parte, è evidente che se si vuole dettare regole selettive applicabili ad alcuni soggetti ma non ad altri operanti su uno stesso mercato è difficile fare a meno di parametri di questo genere.

Nella dimensione digitale, però: (a) vicende e numeri talvolta cambiano in fretta ed è assai facebook facile superare e non superare certi parametri nello spazio di qualche settimana senza, tuttavia, che la forza commerciale di un soggetto con essa il suo impatto su mercati e società cambi significativamente; (b) la forza dei protagonisti dell'ecosistema digitale non è sempre funzione diretta del valore delle loro azioni o di altri dati economici. Basti pensare a Twitter: benché le sue azioni valgano oggi sei volte meno di quelle di Meta, è in grado di incidere sui fatti dell'informazione e della politica in modo determinante, almeno quanto Meta; (c) la forza di mercato di molti dei soggetti che tanto i nuovi esercizi di normazione USA quanto quelli europei vorrebbero richiamare all'ordine sta più nel patrimonio in dati personali dei loro utenti accumulati negli anni e nella loro capacità algoritmica di processarli, piuttosto che nella quantità di denaro accumulato. Ecco perché, forse, il crollo del valore delle azioni di Meta dovrebbe suggerirci un approccio diverso alla regolamentazione dell'ecosistema digitale, un approccio meno ad societatem, meno antagonista, meno selettivo, più orizzontale e rivolto a esigere da tutti, nessuno escluso il rispetto di regole egualmente capaci di garantire i diritti, a cominciare da quelli fondamentali, in maniera effettiva e concreta, e lo sviluppo di privacy and ethic enablig technology.

Non solo. Le regole di cui abbiamo bisogno per governare il presente e il futuro, specie nella dimensione digitale, dovrebbero essere regole sempre meno piene di dettagli, specifiche, parametri puntuali e sempre più basate, invece su pochi principi, alti, generali e universali e di deleghe a istituzioni terze e indipendenti alla loro attuazione e applicazione in maniera evolutiva. Guai, infatti, a dimenticarci che i tempi della regolamentazione sono incompatibili con quelli dell'innovazione che corre sempre molto più veloce. Il rischio, se si continuerà a pretendere di disciplinare il dettaglio, è che le regole entrino in vigore quando quel dettaglio è diventato insignificante o, comunque, non più in grado di svolgere la funzione per la quale è stato inserite nella regole. Forse, più che correre - mai abbastanza - a scrivere nuove regole per disciplinare l'ecosistema digitale, dovremmo fermarci un attimo a pensare a nuovi metodi, processi e dinamici di governo di un universo ormai completamente diverso da quello nel quale si è iniziato a scrivere regole e leggi esattamente come le scriviamo ancora oggi.