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Tu vuò fa' l’europeo: Biden richiama all’ordine le big tech - Intervento di Guido Scorza

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Tu vuò fa' l’europeo: Biden richiama all’ordine le big tech
J'accuse durissimo sulla tutela della privacy, da parte del presidente del Paese che ha dato i natali e che ha indiscutibilmente contribuito a rendere i colossi tecnologici quello che sono
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 13 gennaio 2023)

"L'industria tecnologica americana è la più innovativa al mondo. Sono orgoglioso di ciò che ha realizzato e delle tante persone talentuose e impegnate che lavorano in questo settore ogni giorno. Ma come molti americani, sono preoccupato per il modo in cui alcuni nel settore raccolgono, condividono e sfruttano i nostri dati più personali, amplificano l'estremismo e la polarizzazione nel nostro paese, inclinano il campo di gioco della nostra economia, violano i diritti civili delle donne e delle minoranze e mettono a rischio i nostri figli". Inizia così l'editoriale del presidente americano Joe Biden pubblicato l'altro ieri sul Wall Street Journal. È un j'accuse durissimo all'indirizzo delle Big tech da parte del presidente del Paese che ha dato loro i natali e che ha indiscutibilmente contribuito a renderle quelle che sono.

"In primo luogo - prosegue Biden nel suo Open Ed - abbiamo bisogno di serie protezioni federali per la privacy degli americani. Ciò significa chiari limiti al modo in cui le aziende possono raccogliere, utilizzare e condividere dati altamente personali: la cronologia di Internet, le comunicazioni personali, la posizione e i dati sanitari, genetici e biometrici. Non è sufficiente che le aziende divulghino quali dati stanno raccogliendo. Gran parte di questi dati non dovrebbero essere neppure raccolti. Queste protezioni dovrebbero essere ancora più forti per i giovani, che sono particolarmente vulnerabili online. Dovremmo limitare la pubblicità mirata e vietarla del tutto per i bambini". Il presidente degli Stati Uniti d'America, il Paese le cui leggi, i giudici europei, hanno, a più riprese, giudicato inidonee a offrire ai cittadini europei una protezione della privacy in linea con quella che la disciplina europea loro riconosce, evoca, nella sostanza, il varo, di regole da scriversi a immagine e somiglianza di quelle in vigore nel vecchio continente come il Regolamento generale sulla protezione dei dati personali e la Direttiva E-privacy.

Certo Biden parla, prevalentemente, di tutela della privacy di utenti e consumatori nei confronti delle Big Tech mentre le carenze della disciplina americana identificate dai Giudici del Lussemburgo riguardano, essenzialmente, la tutela della privacy dei cittadini davanti al Governo e alle sue agenzie di intelligence. Ma non si può negare che si tratti, comunque, di un'affermazione importante - benché non originale - che "avvicina" idealmente, almeno con riferimento alle cose della privacy, i due continenti e conferma quanto ci sia di buono, di giusto, di fondamentale per il governo della società nella quale viviamo nella disciplina nostrana sulla protezione dei dati personali.

La privacy, in fondo, è nata negli Stati Uniti d'America, sull'Harward Law Review sulla quale Warren e Brandeis scrissero, ormai oltre 130 anni fa, l'indimenticabile saggio "the right to be let alone", è, poi cresciuta, per oltre un secolo, più rapidamente e meglio da questa parte dell'oceano ma oggi si ritrova un patrimonio di diritti comune, egualmente centrale, da questa e da quella parte del mondo.

"In secondo luogo, abbiamo bisogno che le aziende Big Tech si assumano la responsabilità dei contenuti che diffondono e degli algoritmi che utilizzano. Ecco perché ho detto più volte che dobbiamo riformare radicalmente la Sezione 230 del Communications Decency Act, che protegge le aziende tecnologiche dalla responsabilità legale per i contenuti pubblicati sui loro siti. Abbiamo anche bisogno di molta più trasparenza sugli algoritmi che Big Tech sta usando per impedire loro di discriminare, tenendo lontane le opportunità da donne e minoranze ugualmente qualificate o spingendo contenuti ai bambini che minacciano la loro salute mentale e sicurezza".  Lo scrive sempre il Presidente Biden. E sono parole che potrebbero - salvo i riferimenti normativi alla disciplina americana - essere usciti dalla penna della Commissione e del Parlamento europei che hanno lavorato al Digital Service Act - una delle ultime iniziative regolamentari per richiamare all'ordine le Big Tech - e che stanno lavorando all'Artificial intelligence act, prossimo Regolamento che ha l'ambizione di governare efficacemente l'impatto dell'intelligenza artificiale sulla società.

Difficile immaginare una maggiore sintonia. E non basta perché, nell'editoriale sul Wall Street Journal, Biden prosegue ancora: "In terzo luogo, dobbiamo riportare più concorrenza nel settore tecnologico. La mia amministrazione ha compiuto notevoli progressi nella promozione della concorrenza in tutta l'economia, in linea con il mio ordine esecutivo del luglio 2021. Ma c'è di più che possiamo fare. Quando le piattaforme tecnologiche diventano così grandi, molti trovano modi per promuovere i propri prodotti escludendo o sfavorendo i concorrenti o facendo pagare ai concorrenti una fortuna per vendere sulla loro piattaforma. La mia visione per la nostra economia è quella in cui tutti, piccole e medie imprese, negozi a conduzione familiare, imprenditori, possono competere in condizioni di parità con le aziende più grandi. Per realizzare questa visione e per garantire che la tecnologia americana continui a guidare il mondo nell'innovazione all'avanguardia, abbiamo bisogno di regole della strada più eque".

E qui è impossibile non leggere, verrebbe da dire parola per parola, la filosofia che ha ispirato il Digital Market Act (DMA) appena varato dalle istituzioni europee esattamente allo scopo di scongiurare il rischio che gli oligopoli digitali, oggi essenzialmente nelle mani delle Big Tech, restringano la concorrenza sui mercati oltre la soglia del democraticamente sostenibile e pregiudichino il diritto di fare impresa, a condizioni eque, anche delle imprese di casa nostra.

A leggere le parole del Presidente americano, insomma, viene da dire che mai vi è stata più comunanza di intenti - sebbene nel naturale rispetto di differenze culturali profonde - nel governo delle cose del digitale tra Europa e Stati Uniti, circostanza questa che, probabilmente, consentirebbe di fare fronte comune per richiamare con determinazione all'ordine, con particolare riferimento al rispetto dei diritti fondamentali, a cominciare proprio dal diritto alla privacy, le nuove Big tech che battono bandiera cinese e che hanno, inutile negarlo, allo stato, un enorme vantaggio competitivo sull'intero firmamento digitale almeno per due ragioni: i minori vincoli regolamentari che scontano e la possibilità di fornire i loro servizi a almeno un miliardo e mezzo di utenti - i cittadini cinesi - ai quali, i fornitori di servizi non cinesi, con poche eccezioni, non possono rivolgersi se non sottostando a regole e principi incompatibili con quelli degli ordinamenti nazionali ai quali, in prima battuta, rispondono.