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I - Stato di attuazione della legge n. 675/1996 - Attività forense, investigazione privata e liberi professionisti - Relazione 2000 - 17 luglio 2001

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Indice

Relazione 2000

I - Stato di attuazione della legge n. 675/1996


Attività forense, investigazione privata e liberi professionisti

35. L´ATTIVITÀ DEI LIBERI PROFESSIONISTI
Il Garante ha avuto modo di occuparsi nuovamente dell´impatto della legge n. 675/1996 sull´attività svolta dai liberi professionisti, a cominciare dal regime di pubblicità degli albi professionali e degli atti connessi allo "status" d´iscritto all´albo.

In particolare, il Garante (Provv. del 29 marzo 2001) ha nuovamente ribadito che la legge 675/1996 "non ha modificato la disciplina legislativa relativa al regime di pubblicità degli albi professionali e alla conoscibilità degli atti connessi", sottolineando che "tali albi sono destinati per loro stessa natura e funzione ad un regime di piena pubblicità, anche in funzione della tutela dei diritti di coloro che a vario titolo hanno rapporti con gli iscritti", con la conseguenza che "le disposizioni normative relative ai vari albi permettono ai diversi ordini professionali di comunicare e diffondere a soggetti pubblici e privati i dati personali" in essi contenuti, "in armonia con quanto stabilito dall´art. 27, commi 2 e 3, della legge n. 675".

Inoltre il Garante, nell´affrontare nuovamente la questione del regime di pubblicità dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti degli iscritti agli albi professionali (tematica già esaminata ad esempio con parere del 16 giugno 1999, in Bollettino n. 9, p. 72), ha riaffermato che la ratio sottesa alla pubblicità dei medesimi albi e dei periodici aggiornamenti relativi a nuove iscrizioni e cancellazioni ricorre anche per i provvedimenti che comportano una sospensione o l´interruzione dell´esercizio della professione, i quali, per loro stessa natura, devono considerarsi soggetti anch´essi ad un regime di ampia conoscibilità.

Più specificamente, con riferimento alla posizione degli iscritti all´albo degli avvocati, l´Autorità, nel rammentare che il r.d.l. n. 1578/1933 prevede, oltre alla preventiva comunicazione degli albi ai Ministri della giustizia e del lavoro, nonché ai presidenti della corte d´appello e del tribunale del distretto, la loro affissione "nelle sale d´udienza della corte, dei tribunali e delle preture del distretto medesimo per mezzo di ufficiale giudiziario", ha sottolineato che l´art. 46, commi primo e terzo, del citato r.d.l. stabilisce che i provvedimenti di radiazione e di sospensione sono "comunicati a tutti i consigli dell´ordine degli avvocati e procuratori della Repubblica ed alle autorità giudiziarie del distretto al quale il professionista appartiene". Inoltre, proprio in relazione a tale tipo di provvedimenti, il Garante ha richiamato le disposizioni del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, che prevede un apposito regime di pubblicità – da attuarsi a mezzo deposito presso i rispettivi uffici di segreteria – per le decisioni adottate sia dai consigli dell´ordine (in primo grado) che dal Consiglio nazionale forense (in sede d´impugnazione).

Ciò premesso, nel rilevare come tali provvedimenti disciplinari siano atti pubblici soggetti ad un regime di conoscibilità (sia da parte di altri professionisti, sia di terzi) "che si fonda su rilevanti motivi di interesse pubblico connessi anche a ragioni di giustizia ed al regolare svolgimento dei procedimenti in ambito giudiziario", il Garante ha affermato che, nel caso di specie, non poteva ritenersi prevalente l´interesse alla riservatezza del singolo professionista destinatario di una misura disciplinare (ferma restando la necessità che, ai sensi dell´art. 9 della legge n. 675/1996, la menzione del provvedimento disciplinare fosse attuata in modo corretto ed in termini esatti e completi) sicché, stante il regime di conoscibilità di detti provvedimenti, doveva ritenersi lecita la loro divulgazione tramite riviste, notiziari o altre pubblicazioni curate dal Consiglio dell´ordine che, integrando un trattamento di dati personali finalizzato alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli, saggi o altre manifestazioni del pensiero, sono soggette alla disciplina prevista dall´art. 25 l. 675/1996 per l´attività giornalistica e d´informazione.

Inoltre, con particolare riferimento ai c.d. "dati sensibili", giova anche ricordare che il Garante, visti i risultati positivi conseguiti con le autorizzazioni generali rilasciate negli anni precedenti, ha reiterato le autorizzazioni n. 4 e n. 6, concernenti proprio il trattamento di tali dati da parte dei liberi professionisti e degli investigatori privati. Trattasi di provvedimenti che, nella sostanza, riproducono il contenuto delle precedenti autorizzazioni e che avranno efficacia sino al 31 dicembre 2001.


36. LA RACCOLTA DI DATI PER FINALITÀ DI DIFESA

Altro argomento di particolare importanza, su cui il Garante è stato chiamato a pronunziarsi ripetutamente nel corso del 2000, è quello della raccolta dei dati per l´esercizio del diritto di difesa.

In uno di detti casi, l´Autorità ha avuto ad esempio modo di riscontrare la liceità dell´attività informativa svolta da un investigatore privato, all´uopo incaricato da una società, al fine di verificare l´esistenza o meno di una condizione patologica ostativa allo svolgimento di prestazione lavorativa da parte di un dipendente (Provv. del 9 novembre 2000). In particolare, nell´accertare che il trattamento in questione andava ricondotto nell´alveo degli artt. 12, comma 1, lett. h) e 20, comma 1, lett. g), nonché dell´art. 22, comma 4, l. n. 675/1996, il Garante ha ritenuto che l´attività investigativa, svolta sulla base di uno specifico mandato conferito dalla società, si era sostanziata in un trattamento di dati personali (in particolare nello scatto di alcune fotografie e nella redazione di brevi annotazioni circa gli spostamenti del lavoratore nei periodi e negli orari indicati all´atto del conferimento dell´incarico) pertinenti rispetto all´intento della società di dimostrare in giudizio (come poi avvenuto) l´insussistenza di una patologia addotta dal lavoratore, sicché la mera possibilità di desumere dalle fotografie riprese a distanza o dalle annotazioni alcuni occasionali riferimenti a familiari compresenti durante gli spostamenti non poteva considerarsi circostanza eccedente rispetto alla finalità del trattamento.

In altri casi, il Garante è stato chiamato a valutare la liceità di una diversa tipologia di trattamenti di dati personali collegati all´espletamento di un´attività giudiziaria.

In particolare, in relazione ad un ricorso con cui l´interessato lamentava il mancato riscontro, da parte di un giudice di merito, ad una richiesta di accesso ai dati personali conservati in un fascicolo avente ad oggetto l´eventuale convalida di un trattamento sanitario obbligatorio, il Garante (Provv. del 27 aprile 2000), nell´appurare che il trattamento in questione doveva farsi rientrare fra quelli svolti "per ragioni di giustizia, nell´ambito degli uffici giudiziari, del Consiglio superiore della magistratura e del Ministero di grazia e giustizia" (art. 4, comma 1, l. 675/1996), ha ricordato anche in questo caso che a tale categoria di trattamenti si applicano solo alcune disposizioni della l. n. 675/1996, fra le quali non sono al momento compresi né l´art. 13 (esercizio del diritto di accesso ai dati), né l´art. 29 (ricorso al Garante) della medesima legge. Pertanto, nei confronti dell´attività degli uffici giudiziari e dei magistrati ivi addetti non può essere proposto ricorso ex art. 29, né può essere presentata una previa istanza ai sensi del citato art. 13, essendo possibile sollecitare, attraverso una richiesta o l´invio di una segnalazione o reclamo al Garante, la verifica della rispondenza dei trattamenti di dati ai requisiti stabiliti dalla legge o dai regolamenti (artt. 31, comma 1, lett. d) e p) e 32, in relazione all´art. 4, comma 2).

Analoghe considerazioni sui trattamenti finalizzati all´esigenza di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria sono state espresse nei provvedimenti del 18 aprile 2000 e dell´8 giugno 2000.

Ulteriori e proficui spunti per l´intervento del Garante saranno forniti dalla nuova disciplina sulle indagini difensive nel procedimento penale, introdotta dalla l. n. 397/2000.

Premesso che la normativa in questione ha innovato sensibilmente la vecchia impostazione codicistica in materia, originariamente basata sull´art. 38 disp. att. c.p.p., si deve osservare che a seguito dell´introduzione di tale disciplina si è posto un problema di raccordo con la l. n. 675/1996 (per molti aspetti risolvibile sul piano meramente applicativo o su quello di nuove regole deontologiche), soprattutto con riferimento alle garanzie, agli adempimenti ed ai limiti che i difensori, gli investigatori privati ed i consulenti tecnici (incaricati dal difensore) dovranno tenere presenti all´atto della raccolta di informazioni di carattere personale. In particolare, stante la stretta interazione esistente tra la l. n. 675 e la l. n. 397, sembrano opportuni alcuni accorgimenti per consentire agli operatori di fornire con un unico atto una sola informativa che unisca, nella sostanza, l´"informativa" ex art. 10 l. n. 675 e le varie "avvertenze" di cui all´art. 391-bis c.p.p. (introdotto dalla l. 397/2000), tenendo conto degli elementi delle due informative sostanzialmente comuni, come pure di altre notizie che devono essere fornite agli interessati al momento della raccolta dei dati, e che sono distintamente previste da ciascuno dei predetti articoli, in termini che potrebbero essere condensati, con formulazioni esaurienti, ma sintetiche, in unico atto di informativa.


37. I CODICI DEONTOLOGICI
Altre questioni aperte (che sono all´esame anche del gruppo di lavoro che è in procinto di completare i lavori preparatori dei due codici di deontologia in materia di esercizio del diritto di difesa e di investigazione privata, promossi dal Garante il 10 febbraio 2000) riguardano, tra l´altro, i tempi di conservazione dei dati, la raccolta di determinati dati sensibili e i diversi doveri dei soggetti che a vario titolo collaborano al trattamento dei dati per le predette finalità.

Il fenomeno dei codici di deontologia e di buona condotta, quali fonti sostanzialmente normative (seppur di rango inferiore) create con il contributo di singole categorie, nel settore d´appartenenza, secondo principi di rappresentatività, non è infatti estraneo né al settore forense, né a quello dell´investigazione privata.

Già l´Unione delle Camere penali italiane, a seguito dell´entrata in vigore della legge n. 397/2000, ha approvato alcune prime "Norme di comportamento" del penalista nelle indagini difensive (successivamente integrate e coordinate con altre approvate in precedenza), che contengono alcuni utili riferimenti in materia di protezione dei dati, in particolare per quanto riguarda il contenuto delle informative e il richiamo, nel conferimento agli investigatori privati autorizzati ed ai consulenti tecnici dell´incarico di cui all´art. 327-bis, comma 3, c.p.p., al dovere d´osservanza delle disposizioni di legge sulle indagini difensive, "incluse quelle in materia di tutela dei dati personali".

Queste prime iniziative risulteranno utili per condurre a termine in breve tempo il codice deontologico dedicato al tema dell´utilizzazione di dati per finalità di difesa di un diritto in sede giudiziaria, non solo penale, ma anche civile ed amministrativa, da coordinare ovviamente con gli esistenti strumenti deontologici per la categoria forense.

In avanzato stato di predisposizione è, anche, l´ulteriore schema di codice deontologico per l´investigazione privata che, sulla base delle prime bozze inviate al Garante e degli approfondimenti in atto per armonizzarlo al codice poc´anzi citato, dovrebbe vedere la luce prima della fine del corrente anno.

Scheda

Doc-Web
1342167
Data
17/07/01

Tipologie

Relazione annuale