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Se il digitale esclude, parlare di Smart city è soltanto retorica - Intervento di Ginevra Cerrina Feroni

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Se il digitale esclude, parlare di Smart city è soltanto retorica
Intervento di Ginevra Cerrina Feroni, Vice presidente del Garante per la protezione dei dati personali
(Corriere Fiorentino, 8 maggio 2024) 

Quando si pensa alla città del futuro, si evoca spesso un termine che è quello di smart city, ovvero di città intelligente. Di che si tratta esattamente? Semplificando al massimo, si può dire che una città è smart nella misura in cui la sua struttura urbana si è integrata con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In altri termini, la smart city rappresenta l’archetipo dell’applicazione dell’innovazione tecnologica alla vita della comunità.

Non uno scenario fantascientifico, che evoca suggestive «sale di controllo», ma spazi urbani ibridi, in cui il flusso costante di dati tra l’uomo e la macchina supporta i processi decisionali strategici. Va da sé che l’attuale protagonista del dibattito è l’intelligenza artificiale, insieme ad altre tecnologie come l’internet delle cose (IoT), il cloud e il 5G. Al fondo di tutto ciò vi è la creazione di un volume di dati enorme e senza precedenti, consentita dall’uso ubiquo e interconnesso di dispositivi e sensori.

Le ricadute sono notevoli. Dalla riduzione e ottimizzazione del consumo di energia alla possibilità di segnalare incidenti e trasmettere istantaneamente informazioni alle istituzioni deputate a intervenire. Nelle città ad alto tasso di turismo si possono, ad esempio, misurare e gestire i flussi di persone in entrata e in uscita. Ovvio che i benefici di una smart city riguardano, soprattutto, il modo e il grado di godimento dei diritti dei cittadini.

La promessa di una città intelligente è, infatti, quella — ambiziosissima — di migliorare il livello qualitativo e quantitativo dei servizi: dallo smaltimento dei rifiuti urbani all’illuminazione stradale, dall’uso della domotica alla mobilità. Qui si apre il capitolo cruciale che riguarda i sistemi di parcheggio intelligente, la regolazione dei semafori per ridurre i tempi di attesa dei conducenti, la gestione razionale del traffico.

Firenze aspira ad essere tra le città più smart d’Italia tanto che, alcuni mesi orsono, l’amministrazione comunale ha inaugurato il nuovo hub per la gestione della mobilità. Una infrastruttura tecnologica che ha l’obiettivo — attraverso un sistema integrato di informazioni di ciò che avviene in città — di garantire, tra l’altro, il miglioramento globale del traffico. Una prospettiva indubbiamente apprezzabile. Peccato che, fino ad ora, non si sia percepito il cambiamento. Gli strutturali e mai risolti problemi di viabilità cittadina, purtroppo non migliorati con la tramvia, sono ben noti, tantopiù quando cadono due gocce di pioggia e la città va letteralmente in tilt, con buona pace della sua decantata smartness.

Bisogna, infine, chiarire un possibile equivoco. Una smart city non è semplicemente una città digitalizzata e ben connessa. È molto di più. È una città che migliora la vita dei suoi abitanti, che abilita e potenzia i diritti degli individui e i processi democratici, che include e non esclude. La tecnologia deve essere uno strumento emancipante di diritti e libertà non essa stessa fonte di nuove disuguaglianze e discriminazioni. Il digitale, se non ben governato, rischia infatti di ampliare ed aggravare condizioni di partenza svantaggiate. Il problema è quello del digital divide, ovvero di chi oggi, specie nella popolazione over 70, non è in grado di aprire un computer o di leggere una email e, pertanto, non ha la possibilità di essere cives in senso proprio. Già oggi se non hai accesso alla rete, non possiedi uno smartphone, non sai scaricare una app, puoi avere difficoltà a fissare un prelievo di sangue o rinnovare un permesso per l’auto. Uno Stato deve occuparsi della difesa dei vulnerabili, mettendoli in condizioni di non essere lasciati indietro. Sennò parlare di digitalizzazione diventa pura retorica.

C’è poi tutto il tema della protezione dei dati personali che assume primaria importanza nell’ambito delle «città intelligenti». Pensiamo solo all’arredo urbano delle smart cities, ovvero l’ubiquità di sensori installati nei contesti più disparati, dagli impianti di raccolta dei rifiuti urbani ai lampioni, e poi geolocalizzazione energetica, tracciamento di identificativi telefonici, sorveglianza intelligente con videocamere e sistemi di riconoscimento facciale. Tutto questo diventerà la normalità dello sfondo urbano e del quotidiano di noi cittadini. La conseguenza è un’incessante raccolta e trattamento di dati personali di residenti o anche solo di transitanti per la città intelligente.

Innanzi a questi scenari, i principi fondamentali della protezione dei dati personali rimarranno uno strumento prezioso per ribilanciare gli equilibri di potere tra governanti e governati e per garantire uno sviluppo delle città del futuro etico e costituzionalmente sostenibile.