g-docweb-display Portlet

Provvedimento del 27 aprile 2023 [9900503]

Stampa Stampa Stampa
PDF Trasforma contenuto in PDF

 

VEDI ANCHE Newsletter del 22 giugno 2023

 

[doc. web n. 9900503]

Provvedimento del 27 aprile 2023

Registro dei provvedimenti
n. 165 del 27 aprile 2023

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti, e il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE, “Regolamento generale sulla protezione dei dati” (di seguito “Regolamento”);

VISTO il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 recante “Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la Direttiva 95/46/CE” (di seguito “Codice”);

VISTO il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 recante “Disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE”;

VISTO il Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali, approvato con deliberazione del n. 98 del 4/4/2019, pubblicato in G.U. n. 106 dell’8/5/2019 e in www.gpdp.it, doc. web n. 9107633 (di seguito “Regolamento del Garante n. 1/2019”);

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal Segretario generale ai sensi dell’art. 15 del Regolamento del Garante n. 1/2000 sull’organizzazione e il funzionamento dell’ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, doc. web n. 1098801;

Relatore la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni;

PREMESSO

1.  Notizia stampa e attività istruttoria

Da un’agenzia di stampa del XX e da quanto è risultato nel corso della seduta della Commissione Pari Opportunità di Roma Capitale tenutasi in pari data (il cui video è disponibile in https://...), sono emersi taluni profili di criticità in ordine alla gestione delle sepolture dei feti e dei prodotti abortivi da parte della Asl Roma 1, di seguito “Azienda”.

In particolare, è emerso che l’Azienda trasmetterebbe ai servizi cimiteriali l’elenco delle donne che hanno effettuato un intervento di interruzione di gravidanza, unitamente alla documentazione relativa, per ciascuna di esse, all’autorizzazione al trasporto e al seppellimento dei prodotti abortivi.

A seguito della richiesta di informazioni dell’Ufficio (nota del XX, prot. n. XX), con la quale è stato chiesto di fornire informazioni utili, in relazione a specifici elementi, l’Azienda ha fornito riscontro, con nota del XX.

In particolare, l’Azienda, in merito ai profili oggetto di esame, ha rappresentato che:

-  per i prodotti del concepimento inferiori alla 20 settimana “il protocollo aziendale prevede che i prodotti del concepimento anche dopo eventuale esame istologico, vengano smaltiti analogamente ai rifiuti speciali a rischio infettivo, ad eccezione dei casi in cui i genitori manifestino l’intenzione di procedere al seppellimento individuale, formalizzando la richiesta alla Direzione Sanitaria Presidi Ospedalieri (DPR n. 285/1990, art. 7, comma 4)”;

- per i prodotti del concepimento tra la 20 e la 28 settimana (feti)“il protocollo aziendale prevede, come contemplato dall’art. 7, comma  2 e 4 del DPR n. 285/1990, che i feti di epoca gestazionale compresa tra 20 e 28 settimane vadano a seppellimento a cura della struttura, fatta eccezione per i casi in cui i genitori manifestino l’intenzione di procedere al seppellimento individuale, formalizzando la richiesta alla Direzione Sanitaria Presidi Ospedalieri (DPR n. 285/1990 art. 7 comma 4). In particolare la struttura, espletato ogni atto necessario, provvede ad informare i genitori circa la possibilità di provvedere al seppellimento in autonomia e di manifestare le proprie intenzioni entro 48 ore dall’evento. Qualora i genitori non intendessero procedere autonomamente, i feti vengono conservati nelle celle frigorifere presso le camere mortuari. Pertanto la Direzione Sanitaria (…) verificata la sussistenza dei requisiti necessari per autorizzare il seppellimento, provvederà a richiedere al Servizio di Medicina Necroscopica dell’Azienda, afferente alla UOC Medicina legale, l’autorizzazione al trasporto e al seppellimento del feto. La OC Medicina Legale provvederà a concedere l’autorizzazione e ad inviare certificato autorizzativo alla direzione sanitaria di riferimento. La Direzione Sanitaria Presidi Ospedalieri infine, provvederà a richiedere al servizio di polizia mortuaria la richiesta di prelievo, trasferimento e successive inumazione”;

- per i nati morti e i prodotti del concepimento che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina, “è obbligo del presidio provvedere al seppellimento, ma è facoltà dei genitori richiedere di dar luogo alle esequie; la Direzione Sanitaria di Presidio, salvo diversa indicazione dei genitori, provvede a richiedere ai servizi cimiteriali del Comune di Roma il seppellimento dei feti. In questo caso vige l’obbligo di registrazione presso l’anagrafe, come previsto dall’art. 74 del Regio Decreto 09.07. 1939 n. 1238, è previsto il seppellimento che, generalmente, è a cura dei genitori e in casi particolari (indigenti) a cura della struttura ove avvenuto il parto. Il nato morto quindi, viene trasportato, con apposito documento redatto dalla UOC Medicina Legale presso le strutture cimiteriali per la inumazione/cremazione”;

- “in entrambi casi la UOC Medicina Legale attesta le generalità della madre e le caratteristiche del feto senza alcun riferimento ad interruzione della gravidanza e alle sue caratteristiche (spontanea o provocata dall’intervento umano)”;

- “l’autorizzazione rilasciata dalla UOC Medicina Legale, finalizzata a verificare che non vi siano motivi ostativi (di natura igienico sanitaria o procedurale) all’autorizzazione al seppellimento, riporta i medesimi dati trasmessi dall’Ospedale, vale a dire la data e l’ora dell’espulsione del feto, il peso l’età gestazionale, nonché le generalità della donna. Tali annotazioni si rendono indispensabili per l’individuazione del feto che verrà seppellito, non altrimenti identificabile. In alcun modo viene data alcuna notizia dell’eventuale scelta della donna tutelata ex art. 11 e 21 della L. 194/1978”;

- “in tutti i casi, le procedure che regolano il trasporto e il seppellimento del feto non coinvolgono in alcun modo la Medicina legale e non sono soggette a controllo da parte di quest’ultima, essendo totalmente ed esclusivamente delegate all’AMA. Inoltre non può non evidenziarsi che i documenti, rilasciati dalla UOC Medicina Legale, vengono trasmessi a soggetti tenuti al segreto professionale, ravvisandosi in tal caso una lecita trasmissione di segreto. Per il medesimo motivo, infatti, da parte delle strutture ospedaliere vengono trasmessi alla Medicina legale i medesimi dati anagrafici senza prevederne l’occultamento”;

- “il trattamento dei dati personali da parte di questa Azienda Sanitaria trova fondamento nell’art. 2-ter del D.Lgs. n. 196/2003 e s.m.i. e art. 7 D.P.R. 285/1990. L’oggetto del trattamento sono dati personali dato che tutte le strutture ospedaliere che insistono nel territorio di competenza dell’Asl Roma 1 (che siano dotate di reparti di Ginecologia e Ostetricia) inviano alla Medicina Legale la richiesta di autorizzazione al seppellimento dei feti, unitamente al relativo certificato medico, redatto dai sanitari dell’Ospedale, che attesta l’avvenuto aborto (non specificandone la natura volontaria o spontanea) indicandone data ed ora, nonché peso del feto ed epoca gestazionale, ed infine le generalità della madre. L’autorizzazione che viene rilasciata dalla UOC Medicina Legale riporta i medesimi dati trasmessi dall’Ospedale, vale a dire la data e l’ora dell’espulsione del feto, il peso e l’età gestazionale, nonché le generalità della donna. Tali annotazioni si rendono indispensabili per l’eventuale successiva individuazione del prodotto del concepimento nel luogo del seppellimento da parte, innanzitutto, della madre e ciò costituisce la motivazione della comunicazione dei dati”;

- “il trattamento dei dati relativi alla salute (prodotto del concepimento senza indicazione alcuna della causa che ne ha determinato l’espulsione dal grembo materno: interruzione di gravidanza, spontanea o provocata) è strettamente connessa alla redazione del documento di medicina legale ovvero al fine di fornire validità legale al successivo trasporto e inumazione del prodotto abortivo. Tale trattamento trova fondamento nell’art. 2-sexies, comma 2, lett. t) del D.Lgs. n. 196/2003 e s.m.i.”;

- “di contro, la modalità di inumazione del prodotto del concepimento, salvo i casi in cui genitori o parenti abbiano manifestato l’intenzione di procedere al seppellimento individuale dello stesso, è scelta esclusiva dei Servizi Cimiteriali: tale scelta può avvenire con trattamento di dati personali al fine di eventualmente consentire di individuare la sepoltura da parte di chi ne conosce l’esistenza e la cerca ma anche senza alcun trattamento di dati personali e quindi in anonimato”;

- “a tal riguardo, si precisa che l’art. 70, comma 2, del D.P.R. n. 285/1990, nell’elencare gli elementi da riportare sulla targhetta del cippo funerario, non autorizza i servizi cimiteriali al trattamento di dati personali di persone in vita ma solo di dati personali del defunto, se conosciuti”;

- “infine si ritiene che i documenti rilasciati dalla medicina legale non violano l’obbligo di segretezza non solo perché non contengono alcun riferimento alla scelta della donna di aver praticato un’interruzione volontaria di gravidanza ma anche perché i dati della donna riportati sul certificato redatto dalla medicina legale è destinato solo ad AMA S.p.A. per consentirgli il seppellimento del prodotto abortivo in base alla scelta degli aventi diritto di cui all’art. 7, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990 o, diversamente, in base alla scelta, autonoma, della stessa AMA S.p.A. che, in tal caso, in forza del succitato articolo 26, è tenuta ad effettuare il trattamento dei dati personali mediante “incaricati del trattamento” nonché, a “mantenere riservati i dati e le informazioni di cui venga in possesso” ed è “responsabile” …degli obblighi di segretezza”;

- “la modalità di inumazione e della scelta dei dati della targhetta da apporre sul cippo funerario, in assenza di determinazioni degli aventi diritto, è di esclusiva competenza di AMA S.p.A.”;

- “non vi è alcun documento di questa Azienda Sanitaria destinato ad AMA che chieda, in assenza di determinazioni degli aventi diritto di cui all’art. 7, comma 4, del D.P.R. n. 285/1990, di apporre sulla lapide o sulla targhetta del cippo funerario i dati della donna che ha subito una aborto sia esso spontaneo o per scelta; conseguentemente, il non utilizzo da parte di questa Azienda Sanitaria di un documento contenente richiesta di apporre sulla lapide o sulla targhetta del cippo funerario i dati personali della donna, determina la esclusiva competenza dei Servizi Cimiteriali nel determinare il luogo e le modalità di seppellimento dei prodotti del concepimento con l’età gestazionale compresa tra la 20° la 28° settimana nonché la loro esclusiva responsabilità sul trattamento dei dati personali della donna ovvero sul trattamento dei dati personali mediante loro utilizzo su targhette apposte su cippo funerario a ricordo del suo prodotto del concepimento (con età gestazionale compresa tra la 20° e la 28° settimana) che, in combinazione al luogo di seppellimento (…) potrebbe determinare la rilevazione di dati relativi al suo stato di salute”.

2. Valutazioni del Dipartimento sul trattamento effettuato e notifica della violazione di cui all’art. 166, comma 5 del Codice

In relazione ai fatti sopra descritti, l’Ufficio, con nota del XX (prot. n. XX) ha notificato all’Azienda, ai sensi dell’art. 166, comma 5, del Codice, l’avvio del procedimento per l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 58, par. 2, del Regolamento, invitando la stessa a produrre al Garante scritti difensivi o documenti ovvero a chiedere di essere sentita dall’Autorità (art. 166, commi 6 e 7, del Codice; nonché art. 18, comma 1, dalla legge n. 689 del 24/11/1981).

In particolare, l’Ufficio, nel predetto atto, richiamate le nozioni di dato personale e di dato relativo alla salute (art. 4, par. 1, nn. 1 e 15 del Regolamento e Cons. n. 35) nonché la normativa applicabile al trattamento dei dati personali in questione, ha rappresentato che, sulla base degli elementi in atti, l’Azienda aveva trasmesso ai servizi cimiteriali i dati direttamente identificativi delle donne, in relazione all’avvenuto aborto, dando luogo a una comunicazione ai servizi cimiteriali del Comune di Roma, di dati personali e relativi alla salute, direttamente identificativi delle donne interessate da un’interruzione di gravidanza (sia essa spontanea o volontaria), in violazione dei principi di base del trattamento di cui agli artt. 5, par. 1, lett. a), b), c), f) («liceità, correttezza e trasparenza», «limitazione delle finalità», «minimizzazione dei dati» e «integrità e riservatezza»)  6 e 9 del Regolamento nonché dell’art. 75 del Codice, che fa salve le specifiche disposizioni di settore che prevedono una tutela rafforzata per il trattamento dei dati relativi alle donne che hanno effettuato una interruzione di gravidanza.

Con nota del XX, l’Azienda ha fatto pervenire le proprie memorie difensive, nelle quali, in particolare, ha evidenziato che:

- “le previsioni (dell’art. 7 del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285) (…) prevedono l’instaurarsi di un vero e proprio procedimento amministrativo, ai sensi della L. 241/1990, il quale sfocia in un provvedimento amministrativo di natura espansiva, nell’ambito della tipologia delle autorizzazioni, che consente di esercitare un diritto da parte di un determinato soggetto (…)”;

- “l’art. 7, comma 2, del D.P.R. 285/1990, richiamato dal successivo comma 4°, stabilisce che l’unità sanitaria locale (…) è la pubblica amministrazione competente a rilasciare il permesso di trasporto e seppellimento sia per i prodotti abortivi di presunta età di gestazione tra le 20 alle 28 settimane, sia, su richiesta dei genitori, per quella inferiore alle 20 settimane. Il certificato medico (in cui è indicata la presunta età di gestazione e il peso del feto) è disciplinato unicamente quale documento allegato alla domanda (..), la quale, però, come tutte le istanze dirette alla pubblica amministrazione per l’avvio di un procedimento, deve in verità contenere ulteriori elementi necessari alla corretta adozione del provvedimento finale”;

- “nei procedimenti in esame possono quindi darsi due ipotesi, disciplinate dal 4° comma dell’art. 7 del Regolamento di polizia mortuaria: a) l’istanza per il rilascio del permesso di trasporto e sepoltura è presentato a richiesta dei genitori, caso in cui i dati personali della donna per l’individuazione del feto sono comunicati alla ASL dagli aventi diritto al fine della corretta individuazione degli istanti e dell’oggetto del provvedimento”; b) l’istanza di rilascio è presentata da altri soggetti (“chi per essi” come indicato all’art. 7) ed in tal caso, a maggior ragione, non pervenendo l’istanza del soggetto direttamente interessato (la donna) appare necessario ancor più indicare il nominativo della stessa ai fini della corretta individuazione del feto per il quale deve essere rilasciato il permesso di trasporto e seppellimento”. In entrambi i casi, come sopra chiarito, il certificato medico di cui al comma 4° costituisce un documento necessario da allegare alla domanda, ma non integra né la domanda stessa né il permesso in sé”;

- “il permesso (o certificato autorizzativo nella dicitura della procedura interna della ASL Roma 1) costituisce il provvedimento amministrativo finale (…) di tale procedimento e contiene necessariamente tutti i dati necessari a poter identificare, in maniera certa, sia i soggetti istanti sia il feto oggetto di trasporto e seppellimento. Per tale identificazione è necessaria l’indicazione della donna che ha subito o effettuato l’interruzione di gravidanza in quanto il feto, non essendo altrimenti direttamente identificabile, necessita di essere individuato in maniera certa ai fini del procedimento autorizzatorio. Ciò è evidente tenendo a mente il fatto che da un punto di vista amministrativo il feto, non essendo registrato nell’anagrafe civile, è privo di dati identificativi certi quali invece si hanno nel caso di decesso dei defunti e dei nati-morti (…). Il solo dato che può univocamente identificare il prodotto abortivo è quello relativo alla donna dal quale il medesimo è stato estratto, in quanto non vi sono ulteriori elementi che, ai fini del rilascio del permesso al trasporto e seppellimento, possono identificarlo in modo certo (e ciò è desumibile anche dal dato testuale del comma 4 dell’art. del regolamento di polizia mortuaria, che prevede l’indicazione, nel certificato medico che accerta l’avvenuto svolgimento dell’operazione di interruzione di gravidanza, della “presunta” età di gestione, a significare anche come tale informazione non abbia carattere certo)”;

- “il trattamento del dato personale della donna, pertanto, è necessario ai fini del regolare compimento del procedimento amministrativo autorizzatorio sopra descritto ai fini del rilascio del permesso al trasporto e seppellimento del feto. In tale contesto ai fini del trasporto e seppellimento del feto la ASL Roma 1 è tenuta a tramettere all’ufficio Cimiteriale AMA il provvedimento di autorizzazione al trasporto e seppellimento, senza il quale non si potrebbe procedere allo svolgimento di dette attività”;

- “AMA S.p.A. svolge i servizi cimiteriali per il Comune di Roma -quale società in house del medesimo Comune- sulla base di un contratto approvato nella deliberazione di giunta n. 99 del 30 maggio 2018, sulla base del quale (art. 26) essa è stata designata quale Responsabile del trattamento, con vincolo di riservatezza sui dati e le informazioni di cui venga a conoscenza nell’espletamento dell’incarico. L’Allegato A del contratto, al punto 2.1. espressamente stabilisce che “per la sepoltura di parti di parti anatomiche riconoscibili e per i feti, l’attività è svolta su autorizzazione rilasciata dall’Azienda sanitaria locale competente per territorio” richiedendo pertanto espressamente che vi sia evidenza dell’autorizzazione della ASL competente prima di poter procedere alla sepoltura, con ciò ribadendo quanto già stabilito dalla normativa statale e specificato anche nel regolamento di Polizia Cimiteriale approvato dal Comune di Roma con deliberazione n. 3516 (…)”;

- “la legittimazione di AMA s.p.A a trattare il permesso di trasporto e seppellimento, anche concernente dati appartenenti alle categorie particolari, di cui all’art. 9 del Regolamento Europeo, deriva dai motivi di interesse pubblico rilevante connesso allo svolgimento delle attività cimiteriali”;

- “il trattamento di dati personali” (è) “conforme alle disposizioni di legge e del regolamento Europeo, ciò nel rispetto dell’art. 9, par. 2, lett. g), dell’art. 6, par. 1, lett. e) dell’art. 9, par. 2, lett. g) del regolamento europeo in combinati disposto con l’art. 2 sexies, 2° comma, lett. u) del D.l.vo. n. 196/2003, trattandosi di trattamento di particolari categorie di dati svolto per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico di cui è investito il titolare del trattamento 8art. 6, 1° comma, lett. e) e necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli stati membri (art. 9, 2° paragrafo, lett. g) come precisato dall’art. 2 sexies, 2° comma, lett. u) del D.l.vo n. 196/2003 che considera di rilevante interesse pubblico i trattamenti che sono effettuati da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico nella materia inerente ai compiti “dei soggetti operanti in ambito sanitario” (lett. u) (…). Ciò pertanto in osservanza dei principi di “liceità, correttezza e trasparenza” (art. 5, par. 1, lett. a) e degli artt. 6 e 9 del Regolamento Europeo”;

- “di aver rispettato anche i principi di cui all’art. 5, par. 1 b) ed f) (“limitazione delle finalità”, “integrità e riservatezza”), del Regolamento Europeo. Il trattamento di dati personali in questione è stato svolto per la sola ed esclusiva finalità di svolgere e completare il procedimento amministrativo relativo all’emissione del provvedimento autorizzatorio per il trasporto e seppellimento del prodotto abortivo, ai sensi dell’art. 7, commi 2, 3 e 4 del D.P.R. n. 285/1990. La comunicazione del provvedimento autorizzativo al soggetto legittimato dalle norme sopra richiamate al trasporto e seppellimento (…) persegue l’unica finalità di far procedere allo svolgimento delle attività di sanità pubblica previste dalle leggi dello Stato in materia e, pertanto, non vi è stato alcun trattamento per finalità diverse o ulteriori rispetto alle originarie”;

-“l’indicazione del nominativo della donna a cui si riferisce il feto non viene svolto in maniera autonoma e separata dalla emissione e trasmissione del provvedimento autorizzatorio, ma è connesso al fatto che tale indicazione è in esso contenuta essendo necessaria alla corretta ed univoca identificazione del feto il quale è privo di riferimenti anagrafici o altri dati idonei identificarlo con certezza”;

- “anche il principio di “integrità e riservatezza” di cui all’art. 5, par. 1, lett. f) del Regolamento europeo risulta rispettato, in quanto il provvedimento autorizzatorio (…) non specifica la natura volontaria o spontanea dell’avvenuto aborto, limitandosi unicamente ad inserire le generalità della donna ai fini di una corretta individuazione, da parte dei servizi cimiteriali, del feto e del soggetto a cui rivolgersi in caso di specifiche richieste, problematiche o autorizzazioni ulteriori. E’ bene evidenziare che il provvedimento autorizzatorio trasmesso dalla scrivente ad AMA S.p.A. è provvedimento non destinato alla pubblicazione e che le due amministrazioni procedenti devono unicamente conservare nei loro archivi (…), non essendo prevista l’annotazione sul registro di cui all’art. 52 del Regolamento di polizia mortuaria (…). Alla luce di tali precisazioni appare evidente il rispetto della riservatezza dei dati personali della donna, il cui inserimento nel provvedimento con relativa comunicazione ad AMA è stato disposto tenendo in considerazione anche tali aspetti”;

- “la scrivente ritiene di aver rispettato tale principio” (di minimizzazione) “in quanto il provvedimento autorizzatorio al trasporto e sepoltura non specifica la natura volontaria o spontanea dell’avvenuto aborto, limitandosi unicamente ad inserire le generalità della donna ai fini di una corretta individuazione, da parte dei servizi cimiteriali, del feto e del soggetto a cui rivolgersi in caso di specifiche richieste, problematiche o autorizzazioni ulteriori. Inoltre, detto provvedimento non è destinato ad annotazione nei registri cimiteriali, ma unicamente alla conservazione nell’archivio degli stessi, non essendo quindi prevista dalle disposizioni normative una divulgazione delle generalità della donna. In tal senso, la scrivente ASL Roma 1 ha proceduto al trattamento inserendo nel permesso unicamente quei dati strettamente necessari all’identificazione certa del feto (che, si ricorda, è privo di riferimenti anagrafici sicuri e di altri dati presenti in registri che lo possono far individuare con certezza) utilizzando il dato grafico della donna nei limiti strettamente necessari al perseguimento di detta finalità garantendo così la completezza del provvedimento amministrativo e la tutela della donna per la quale non viene indicato il trattamento terapeutico a cui si sarebbe sottoposta”;

- “in relazione all’adozione delle misure tecniche quali pseudonimizzazione o cifratura (ma ad oggi la procedura è unicamente analogica) valgono le seguenti considerazioni. Anche nel caso in cui la donna ritenga di non occuparsi della sepoltura, appare innegabile il diritto della stessa di conoscere le modalità dell’inumazione e di opporsi nel caso all’impiego di simboli o rituali che esulino dalla disciplina legislativa o dal proprio credo religioso. L’utilizzo di segni (ancorché religiosi) senza il consenso della donna può determinare un pregiudizio dei diritti di rango costituzionale e fondamentali, quali la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, a prescindere dalla definizione, che peraltro pare ineludibile, del prodotto abortivo quale parte staccata del corpo e dalla configurabilità o meno sul feto di un diritto di proprietà o di una sua “disponibilità controllata”;

- “la necessità di comunicare i dati della donna ai servizi cimiteriali, al fine di individuare il prodotto del concepimento nel luogo di seppellimento, risulta quindi giustificata da una necessità di tutela di ogni diritto della madre e dei genitori di poter individuare il luogo di sepoltura. L’esigenza di identificare in modo univoco un prodotto del concepimento appare giustificata nel rilascio del provvedimento autorizzativo di trasporto e seppellimento e sua comunicazione nei rapporti tra la Asl e il gestore dei servizi cimiteriali, non rivestendo particolare preoccupazione nel caso in cui il dato venga gestito con una procedura (che) esclude la possibilità di diffusione dell’informazione. Nel caso di specie, infatti, la problematica di diffusione del dato è stata legata alla cattiva gestione dello stesso da parte dei servizi cimiteriali e non nella comunicazione dei dati delle puerpere da parte di codesta Azienda che è stato teso unicamente (..) a garantire la corretta identificazione del feto e l’esercizio eventuale dei diritti e libertà fondamentali della donna stessa, di poter individuare con certezza il luogo di sepoltura e richiedere eventualmente che la stessa sia effettuata in osservanza al proprio culto religioso”;

- “la precisazione dell’indicazione della donna da parte della scrivente ASL pare altresì funzionale alla tutela della dignità, dell’identità dell’integrità psichica femminili, più che mai impellente in un momento di storia personale di particolare fragilità. Ciò spiega il motivo per il quale è necessario consentire alla donna di poter esercitare i propri diritti in maniera più immediata possibile (visti anche i ristretti periodi previsti dalla normativa in questione). La pseudonimizzazione “a monte” del nome della donna sul provvedimento autorizzativo rilasciato dalla scrivente ASL ROMA 1 però, andrebbe contro tale esigenza, dato che, già per poter individuare il luogo di sepoltura la donna a cui è riferito il prodotto abortivo sarebbe costretta ad attendere un’ulteriore comunicazione tra i servizi cimiteriali e la ASL ROMA 1 ai fini della individuazione del feto di sua competenza”;

- “l’oscuramento del nominativo delle interessate, all’interno di un atto autorizzativo da trasmettere ad altra amministrazione, avrebbe come conseguenza l’aggravamento della procedura e un più difficile esercizio dei diritti fondamentali da parte delle stesse”;

- “difficilmente potrebbe svolgere la funzione amministrativa autorizzativa demandatale dalla legge pseudonimizzando all’interno del provvedimento amministrativo il nominativo della donna, sia perché ciò renderebbe detto provvedimento incompleto da un punto di vista formale, in quanto non vi sarebbe la diretta identificabilità del feto, sia perché ciò comporterebbe un aggravamento dell’esercizio di altri diritti fondamentali, di pari livello costituzionale, da parte della donna stessa, che si troverebbe costretta, in un particolare momento della sua vita, a “fare la spola” tra le varie amministrazioni per conoscere il luogo di sepoltura e verificare che lo stesso sia consono al proprio credo religioso”;

- “l’art. 11 della legge n. 194/1978 che prevede la comunicazione al medico provinciale competente dell’intervento abortivo con oscuramento della menzione dell’identità della donna è una norma che si innesca in ambito diverso da quello in esame e non può essere ritenuta quale norma di settore ex art. 75 del D.L.vo n. 196/2003” in quanto “riguarda unicamente e specificamente la comunicazione al medico provinciale competente e non, in generale, qualsiasi comunicazione relativa alle interruzioni di gravidanza e trattasi, a differenza dell’attività autorizzativa posta in essere dalle ASL, di comunicazioni a carattere informativo sulla base delle quali il medico provinciale può adottare provvedimenti di tutela della sanità pubblica”.

In data XX si è tenuta l’audizione richiesta dal titolare del trattamento innanzi all’Autorità, nel corso della quale, in relazione alla violazione notificata, è stato ribadito quanto già dichiarato e, comunque, precisato che:

- “la procedura che porta al provvedimento di nulla osta al seppellimento costituisce una prassi consolidata presso le Aziende sanitarie del Comune di Roma; pertanto, qualora fosse ritenuto opportuno modificarla, sarebbe necessario armonizzarla con quelle adottate dalle altre Asl nel territorio di riferimento. A tal fine si manifesta la disponibilità a trovare soluzioni condivise in tal senso”;

- “la procedura è aderente alle previsioni del Regolamento di polizia mortuaria e, per quanto riguarda la competenza della Asl, la finalità perseguita è esclusivamente di tipo igienico-sanitario; la procedura termina con un provvedimento di nulla osta che ha carattere vincolato”;

- “è in capo al presidio ospedaliero l’onere dell’istruttoria in ordine alla manifestazione di volontà circa l’eventuale richiesta di anonimato della donna ai sensi della legge n. 194/1978 nonché circa la volontà di seppellimento, cremazione o smaltimento del prodotto abortivo”;

- “compete alla Asl verificare se possa essere fornita l’autorizzazione al seppellimento non solo dei prodotti abortivi ma anche, ad esempio, degli arti amputati e dei soggetti deceduti.”;

- “le modalità formali con le quali verrà eseguito il seppellimento non competono alla Asl, non vi è alcuna norma che preveda che la Asl ne venga a conoscenza”.

3.  Esito dell’attività istruttoria

Preso atto di quanto rappresentato dall’Azienda nella documentazione in atti, nelle memorie difensive e nell’audizione, si osserva quanto segue.

1. Secondo la normativa in materia di interruzione volontaria di gravidanza, la stessa può essere praticata quando “la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute”, oppure quando “la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna” o “siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (artt. 4 e 6, legge 22 maggio 1978, n. 194). Inoltre, “l'interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è considerata a tutti gli effetti come malattia” (art. 19 del d.lgs. n. 151/2001). Da ciò ne consegue che i dati personali relativi all’interruzione di gravidanza rientrano a pieno titolo tra i dati relativi alla salute; ciò, non solo in quanto il riferimento alla salute fisica e psichica della donna è esplicitato dalle predette disposizioni normative, ma anche perché si tratta di un evento connesso ad un “prestazione di servizi di assistenza sanitaria” (anche ad esempio, in caso di aborto spontaneo) (art. 4, par. 1, n. 15 del Regolamento) (cfr. anche provvedimento del Garante n. 334 del 4 giugno 2015, consultabile in www.gpdp.it, doc. web n. 4130998).

2. Il trattamento di dati personali è lecito solo se necessario “per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento” oppure “per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento” ovvero, in caso di dati appartenenti a categorie particolari, quando è “necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato” (art. 6, parr. 1, lett. c) e e), 2 e 3, nonché artt. 9, par. 2, lett. g) del Regolamento e artt. 2-ter e 2-sexies del Codice).

Il legislatore nazionale ha definito “rilevante” l’interesse pubblico per il trattamento “effettuato da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico o connessi all’esercizio di pubblici poteri” nelle materie indicate, seppur in modo non esaustivo, dall’art. 2-sexies del Codice, stabilendo che i relativi trattamenti “sono ammessi qualora siano previsti […] da disposizioni di legge o di regolamento o da atti amministrativi generali che specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato”.

3. Il Regolamento prevede che i dati personali, devono essere “adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati”, e “trattati in maniera da garantire un’adeguata sicurezza (…), compresa la protezione, mediante misure tecniche e organizzative adeguate, da trattamenti non autorizzati o illeciti e dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali” (principi di «minimizzazione dei dati» e «integrità e riservatezza» - art. 5, par. 1, lett.  c) e f) del Regolamento).

4. In materia di sicurezza del trattamento, l’art. 32 del Regolamento, stabilisce che “tenendo conto dello stato dell'arte e dei costi di attuazione, nonché della natura, dell'oggetto, del contesto e delle finalità del trattamento, come anche del rischio di varia probabilità e gravità per i diritti e le libertà delle persone fisiche, il titolare del trattamento e il responsabile del trattamento mettono in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire un livello di sicurezza adeguato al rischio, che comprendono, tra le altre, se del caso la pseudonimizzazione e la cifratura dei dati personali[…]” (par. 1) e che “nel valutare l’adeguato livello di sicurezza si tiene conto in special modo dei rischi presentati dal trattamento che derivano in particolare dalla distruzione, dalla perdita, dalla modifica, dalla divulgazione non autorizzata o dall’accesso, in modo accidentale o illegale, a dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati” (par. 2).

5. Quanto ai dati personali della donna, la citata legge n. 194/1978 ha previsto un rigoroso regime di riservatezza a tutela della donna. Oltre alla sanzione penale, prevista per chi “essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l'identità - o comunque divulga notizie idonee a rivelarla - di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge” (art. 21), l’identità della donna è, ad esempio, protetta anche in relazione all’adempimento di obblighi informativi all’interno dello stesso contesto sanitario (“L’ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio … sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione … dell’intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza fare menzione dell'identità della donna”, art. 11) e, in alcuni passaggi dell’art. 5, si fa riferimento al “rispetto della dignità e della riservatezza della donna”.

Le citate disposizioni normative, che prevedono una tutela rafforzata per il trattamento dei dati relativi alle donne che hanno effettuato una interruzione di gravidanza, rientrano nelle specifiche disposizioni di settore fatte salve dall’art. 75 del Codice. Il predetto regime di riservatezza è stato, peraltro, più volte ribadito dal Garante nell’ambito di diversi interventi, qualificando tali dati tra quelli soggetti “a maggiore tutela dell’anonimato” (parere in su schema di decreto in materia di certificato di assistenza al parto, del 1° marzo 2000, doc. web n. 1085431; parere su schema di decreto in materia di fascicolo sanitario elettronico, del 22 maggio 2014, doc. web n. 3230826; Linee guida in materia di Dossier sanitario, del 4 giugno 2015, doc. web n. 4084632).

6. Con riferimento alla sepoltura dei prodotti abortivi, la disciplina in materia di polizia mortuaria prevede delle specifiche regole in relazione alla presunta età di gestazione degli stessi. In particolare, è disciplinato che: “Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all'ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall'unità sanitaria locale” (art. 7, comma 2, del d.P.C.M. 10 agosto 1990, n. 285); “A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane” (comma 3); “Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto” (comma 4). E’ inoltre previsto che “Sul cippo, a cura del comune, verrà applicata una targhetta di materiale inalterabile con indicazione del nome e del cognome e della data di nascita e di morte del defunto” (art 70, comma 2).

7. Le disposizioni dell’ordinamento nazionale si interpretano e si applicano alla luce della disciplina dell’Unione europea in materia di protezione dei dati personali (art. 22, comma 1, del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101).

Dalla ricostruzione sopra esposta, emerge che l’Azienda ha trasmesso ai servizi cimiteriali la documentazione relativa all’autorizzazione al trasporto e alla sepoltura di prodotti abortivi contenente i dati direttamente identificativi delle donne, in relazione all’avvenuta interruzione di gravidanza.

Sul punto si evidenzia che l’acquisizione da parte dei servizi cimiteriali delle predette informazioni direttamente identificative della donna non risulta necessaria ai fini dell’espletamento dei compiti assegnati dalla legge ai servizi cimiteriali, né è richiesta dalla disciplina sopra richiamata, secondo la quale, ai fini dell’apposizione della targhetta sul cippo, le informazioni da indicare riguardano quelle del defunto; le quali non possono in alcun modo essere assimilate a quelle che riguardano le donne che hanno avuto una interruzione di gravidanza. Come, peraltro, evidenziato dall’Azienda “l’art. 70, comma 2, del D.P.R. n. 285/1990, nell’elencare gli elementi da riportare sulla targhetta del cippo funerario, non autorizza i servizi cimiteriali al trattamento di dati personali di persone in vita ma solo di dati personali del defunto, se conosciuti”.

L’indicazione dei dati che identificano in maniera diretta le donne nel provvedimento di autorizzazione e sepoltura dei prodotti abortivi da trasmettere ai servizi cimiteriali, non risulta conforme al citato principio di minimizzazione dei dati. Peraltro, la comunicazione del provvedimento autorizzatorio con in chiaro i nominativi delle donne ai servizi cimiteriali di Roma Capitale, che sono riportate nei registri cimiteriali ai fini dell’identificazione dei feti inumati nelle apposite aree, determina, di fatto, la possibilità di estrarre da tali registri, tenuti in forma automatizzata, l’elenco delle donne che hanno effettuato un‘interruzione di gravidanza in tutte le strutture ospedaliere ubicate nel territorio di riferimento, con una conseguente raccolta centralizzata di tali informazioni di gran lunga superiore a quella della singola struttura sanitaria; con ciò, determinando un trattamento sproporzionato rispetto alla finalità, perseguita dai servizi cimiteriali, di provvedere alla sepoltura dei  prodotti abortivi.

La comunicazione dei dati direttamente identificativi delle donne ai servizi cimiteriali, non risulta neanche giustificata, come asserito, quale unica modalità di individuazione del luogo del seppellimento del prodotto del concepimento al fine di consentire alla donna, che lo desideri successivamente, di conoscerne il luogo di sepoltura. Infatti, tale legittima esigenza, che implica la possibilità di identificare in modo univoco i feti che hanno avuto una sepoltura nei cimiteri comunali, può essere utilmente raggiunta adottando specifici accorgimenti che da un lato garantiscano tale identificabilità, e dall’altro risultino idonei a ridurre il rischio che si verifichi un pregiudizio rilevante per le donne interessate, in considerazione della natura particolarmente delicata dei dati trattati. L’eventuale utilizzo di specifiche misure tecniche e/o organizzative - quali, ad esempio, l’oscuramento dei dati identificativi delle donne, la pseudonimizzazione o la cifratura dei dati, garantirebbe la possibilità di individuare con certezza il prodotto del concepimento e il luogo della sua sepoltura, senza consentire – in modo diretto – di risalire all’identità della donna.

Infine l’asserito “carattere vincolato” del provvedimento di nulla osta alla sepoltura, “conseguente al provvedimento di richiesta di seppellimento da parte del singolo presidio ospedaliero”, che, peraltro, deve essere accompagnato da un certificato medico nel quale, secondo l’art. 7, comma 4, del d.P.C.M. 10 agosto 1990, n. 285, è indicata la presunta età di gestazione ed il peso del feto, non impedirebbe, in ogni caso, che il medesimo provvedimento, nella copia diretta ai servizi cimiteriali, venga rilasciato senza i dati identificativi diretti delle donne, risultando a tal fine sufficiente che tali documenti siano collegati, per es. alla cartella clinica, attraverso un numero di protocollo o altra modalità di codifica.

Alla luce delle considerazioni che precedono, la condotta dell’Azienda ha dato luogo a una comunicazione ai servizi cimiteriali del Comune di Roma, di dati relativi alla salute, direttamente identificativi delle donne interessate da un’interruzione di gravidanza (sia essa spontanea o volontaria), che contrasta con i principi di base del trattamento di cui all’art. 5, par. 1, lett., c) e f) del Regolamento («minimizzazione dei dati» e «integrità e riservatezza»).

4. Conclusioni

Alla luce delle valutazioni sopra richiamate, tenuto conto delle dichiarazioni rese dal titolare del trattamento nel corso dell’istruttoria ˗ e considerato che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell’art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante” ˗ si rappresenta che gli elementi forniti dal titolare del trattamento nelle memorie difensive non consentono di superare integralmente i rilievi notificati dall’Ufficio con il citato atto di avvio del procedimento, non ricorrendo, peraltro, alcuno dei casi previsti dall’art. 11 del Regolamento del Garante n. 1/2019.

Per tali ragioni si rileva l’illiceità del trattamento di dati personali effettuato dall’Asl Roma 1, nei termini di cui in motivazione, in particolare, per aver trattato dati personali in violazione dei principi di base del trattamento di cui all’art. 5, par. 1, lett. c) e f) del Regolamento.

Ciò premesso, considerato quanto sopra, si ritiene di dover in ogni caso considerare la particolarità del caso segnalato, che presenta una serie di circostanze meritevoli di un’attenta valutazione. In particolare, in considerazione delle circostanze del caso concreto, nei termini sopra descritti, riconducibili:

- alla circostanza che la condotta risulta causata da una non corretta applicazione della norma, rilevandosi la difficile interpretazione del lacunoso quadro normativo di riferimento;

- all’assenza di reclami e segnalazioni al Garante nei confronti dell’Azienda da parte delle interessate;

- all’elevato grado di cooperazione dimostrato fin da subito dall’Azienda, che ha manifestato la disponibilità a trovare soluzioni condivise;
inducono a qualificare lo stesso come “violazione minore”, ai sensi del considerando 148 del Regolamento e delle Linee guida WP 253, riguardanti l’applicazione e la previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie ai fini del Regolamento (UE) n. 2016/679.

Per tali ragioni, si ritiene che la misura dell’ammonimento nei confronti del titolare del trattamento per avere violato previsioni del Regolamento contenute nell’art. 5 del Regolamento, ai sensi degli artt. 58, par. 2, lett. b), e 83, par. 2, del Regolamento, unitamente alle prescrizioni impartite volte a richiedere, entro il termine di giorni 60 dalla notifica del provvedimento, adeguate misure tecniche e/o organizzative per non rendere immediatamente identificabili le donne che hanno effettuato una interruzione di gravidanza nella documentazione da trasmettere ai servizi cimiteriali, possa assolvere una funzione correttiva proporzionata.

Si ritiene, altresì, che debba applicarsi la sanzione accessoria della pubblicazione sul sito del Garante del presente provvedimento, prevista dall’art. 166, comma 7 del Codice e art. 16 del Regolamento del Garante n. 1/2019, anche in considerazione della tipologia di dati personali oggetto di illecito trattamento.

Si rileva, infine, che ricorrono i presupposti di cui all’art. 17 del Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante.

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

a) ai sensi dell’art. 57, par. 1, lett. a) del Regolamento, dichiara l’illiceità del trattamento dei dati personali effettuato dall’Asl Roma 1, con sede legale in Roma, Via Borgo S. Spirito, 3 00193 - C.F./P. IVA 13664791004 per la violazione dei principi di base del trattamento, di cui all’art. 5, par. 1, lett. c) e f) del Regolamento, nei termini di cui in motivazione;

b) ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. b) del Regolamento, ammonisce la citata Azienda, quale titolare del trattamento in questione, per aver violato gli artt. 5, par. 1, lett.  c) e f) del Regolamento, come sopra descritto;

c) ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. d), del Regolamento, ingiunge alla citata Azienda di adottare, entro il termine di giorni 60 dalla notifica del presente provvedimento, adeguate misure tecniche e/o organizzative volte a non rendere immediatamente identificabili le donne che hanno effettuato una interruzione di gravidanza nella documentazione da trasmettere ai servizi cimiteriali;

d) ai sensi dell'art. 157 del Codice, invita la medesima Azienda a comunicare, entro lo stesso termine di giorni 60 dalla notifica del presente provvedimento, le misure adottate al fine di dare attuazione a quanto ingiunto. Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui all'art. 166, comma 2, del Codice;

e) ai sensi dell’art. 166, comma 7, del Codice, dispone la pubblicazione per intero del presente provvedimento sul sito web del Garante e ritiene che ricorrano i presupposti di cui all’art. 17 del Regolamento n. 1/2019 concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, degli artt. 152 del Codice e 10 del d.lgs. n. 150/2011, avverso il presente provvedimento è possibile proporre ricorso dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 27 aprile 2023

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Cerrina Feroni

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei