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Provvedimento del 23 marzo 2023 [9885151]

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[doc. web n. 9885151]

Provvedimento del 23 marzo 2023

Registro dei provvedimenti
n. 82 del 23 marzo 2023

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l'avv. Guido Scorza, componenti e il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE, “Regolamento generale sulla protezione dei dati” (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 recante “Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la Direttiva 95/46/CE” (di seguito “Codice”);

VISTA la l. n. 689/1981 e successive modificazioni e integrazioni, con particolare riferimento all’art. 1, comma 2;

VISTA la segnalazione presentata in data XX, tramite il proprio avvocato, dal Sig. XX , con la quale è stata lamentata  la circostanza che, con nota prot. 3927 del 22 marzo 2018, l’allora Comandante della Caserma dei Vigili del Fuoco di Latina, presso la quale l’interessato presta la propria attività lavorativa, avrebbe inviato al Questore di Latina un verbale di visita medico-collegiale, redatto da una Commissione Medica di verifica nell’ambito di un giudizio di idoneità al servizio del dipendente, con richiesta di “effettuare adeguati controlli relativamente […] [alla licenza di porto d’armi e/o possesso d’armi] nei confronti del [l’interessato]”, sul presupposto che lo stesso “in seguito a quanto disposto dalla Commissione Medica, è stato ritenuto non idoneo per un periodo di 120 giorni”. Il verbale della Commissione Medica in questione riportava in chiaro l’esito della visita medico-collegiale cui era stato sopposto l’interessato, con l’indicazione delle pregresse patologie dell’interessato, della terapia farmacologia seguita dallo stesso e degli accertamenti medici da egli effettuati, nonché del giudizio diagnostico (diagnosi in chiaro). La Questura di Latina, sulla base della documentazione ricevuta, avrebbe poi assunto iniziative finalizzate al ritiro della licenza di caccia intestata all’interessato, all’esito delle quali è risultato che tale licenza era da tempo scaduta;

PRESO ATTO della nota del XX (prot. n. XX), con la quale il Ministero dell’Interno (di seguito, il “Ministero”) forniva riscontro alla richiesta di informazioni del Garante del XX (prot. n. XX), dichiarando, in particolare, che:

con “nota [del] 22/3/2018 [veniva inviata] al Questore di Latina […] documentazione medica concernente gli esiti dell’accertamento di idoneità al servizio cui […] [l’interessato] era stato sottoposto presso la competente Commissione Medica Ospedaliera”;

“[…] si può ritenere che il Comandante di Latina pro tempore, atteso il giudizio di non idoneità al servizio per 120 giorni espresso dalla citata Commissione e presumibilmente avendo notizia circa la possibile titolarità da parte del[l’] [interessato] di licenza di porto d’armi, abbia reputato doveroso, conformandosi al principio di leale collaborazione istituzionale, informare in modo tempestivo, con riservata/personale, direttamente il Questore, autorità provinciale di pubblica sicurezza, affinché disponesse di utili elementi per le opportune valutazioni e determinazioni nell’ambito della competente azione di prevenzione a tutela della sicurezza generale e della pubblica e privata incolumità”;

“ne sarebbe effettivamente conseguito […] che il Questore di Latina abbia provveduto alla revoca della licenza di porto d’armi di cui era titolare [l’interessato]”.

PRESO ATTO della nota del XX (prot. n. XX), con la quale la Questura di Latina forniva riscontro alla richiesta d’informazioni del Garante del XX (prot. n. XX), dichiarando, in particolare, che:

“in data 29.03.2018, il locale Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco, con nota a firma dell’allora comandante, informava  [la] Divisione P.A.S.I. che un proprio dipendente, sottoposto a visita medica di controllo da parte del Dipartimento Militare di Medicina Legale — Commissione Medica Ospedaliera di Roma, era stato ritenuto NON idoneo al servizio per complessivi 120 gg”; nella stessa nota si informava la competente Divisione P.A.S.I. che [l’interessato] risultava possessore di un porto d’armi in corso di validità, nonché detentore di armi”;

“per tale ragione, ritenendo che fosse necessario portare a conoscenza l’Autorità di P.S. delle precarie condizioni di salute del proprio dipendente, allegava alla predetta nota anche il referto rilasciato dall’organo di medicina legale [, attestante] […]le patologie di natura psichica”;

“la normativa vigente, ed in particolare l’art. 35, comma 7, del T.U.L.P.S., prevede che il porto d’armi possa essere rilasciato solo previa esibizione di un certificato medico, rilasciato da un medico legale (quale appunto è la C.M.O.) o da un medico militare, che accerti il pieno possesso di tutti i requisiti psico-fisici richiesti a coloro che debbano maneggiare armi da fuoco. Quali debbano essere tali requisiti psico-fisici, è stato, da ultimo, stabilito dal Decreto del Ministero della Sanità del 28 aprile 1998. L’articolo 1, punto 5) del citato D.M., prevede espressamente che il soggetto richiedente non debba essere affetto da disturbi mentali, della personalità o comportamentali […]”;

“pertanto, a seguito dell’inoltro del predetto referto medico da parte del Comando Provinciale dei VV.FF., [la Questura di Latina] ha potuto apprendere che, in capo al[l’] [interessato] erano venute meno le condizioni che avevano consentito sia il rilascio del porto d’armi che la detenzione delle armi”;

“l’articolo 11, comma 3, del T.U.L.P.S. stabilisce che le autorizzazioni di polizia debbono essere revocate quando nel titolare vengano a mancare le condizioni che ne avevano consentito il rilascio (e l’idoneità psico-fisica è certamente tra queste), mentre l’articolo 39 dello stesso testo unico prevede che il Prefetto possa vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti alle persone ritenute capaci di abusarne (e non vi è dubbio che un soggetto che soffra di disturbi psichici possa annoverarsi tra queste)”;

“per tali ragioni l’allora dirigente della Divisione P.A.S.I. ritenne opportuno inoltrare il citato referto medico sia al Commissariato di P.S. di Terracina (LT), ovvero l’ufficio che aveva rilasciato la licenza di porto d’armi e che, quindi, avrebbe dovuto provvedere alla sua revoca o sospensione, che alla Stazione Carabinieri di Sonnino (LT), comando presso il quale […]l [interessato] aveva denunciato le proprie armi e che, quindi, avrebbe dovuto provvedere al loro ritiro cautelare ed a proporre al Prefetto l’emissione del decreto di cui all’articolo 39 T.U.L.P.S.”;

“il referto medico […] costituiva l’unico appiglio giuridico sul quale fondare i procedimenti amministrativi per la revoca del porto d’armi e per il decreto di divieto a detenerle, ragion per cui, gli uffici incaricati di avviare i rispettivi provvedimenti, non avrebbero potuto non avere tra i propri atti il predetto documento”;

“[…] è evidente come in casi quali quello in questione, il diritto alla riservatezza ed alla tutela dei dati sensibili debba essere posto ad un livello inferiore rispetto al superiore interesse della tutela della pubblica incolumità”;

“nella pratica quotidiana, l’istanza finalizzata al rilascio o rinnovo di una licenza, con tutta la documentazione prevista (tra cui, appunto, il certificato anamnestico, nel quale sono indicate tutte le patologie di cui il richiedente soffre o ha sofferto ed i farmaci che assume), viene consegnata dall’interessato alla Stazione Carabinieri del paese in cui risiede; da qui viene poi inoltrata al Commissariato di P.S. competente per territorio, che deve provvedere al rilascio del titolo: tuttavia, laddove il predetto ufficio riscontri che vi siano dei motivi ostativi al rilascio, inoltra tutta la pratica alla Divisione P.A.S.I. per le superiori valutazioni e l’avvio di un eventuale contenzioso. Quanto accaduto nel caso che ha interessato [l’interessato], ha seguito esattamente lo stesso schema organizzativo, anche se sviluppato “a ritroso”.

“nel caso in esame, infatti, fu la Divisione P.A.S.I. la prima ad acquisire la documentazione sanitaria, che ha poi girato ai due uffici territoriali per le incombenze di loro specifica competenza”;

VISTA la nota prot. n. XX del XX del Dipartimento realtà pubbliche di questa Autorità, con la quale è stato definito il procedimento istruttorio, le cui motivazioni devono intendersi qui integralmente richiamate, nella quale risulta accertato che l’allora Comandante della Caserma dei Vigili del Fuoco di Latina, contravvenendo al divieto di trattare per finalità ulteriori i dati personali dell’interessato, anche relativi allo stato di salute, ha trasmesso tali dati al Questore di Latina, nonché che la Questura di Latina ha inviato la versione integrale della predetta documentazione medica al Commissariato di P.S. di Terracina (LT) e alla Stazione Carabinieri di Sonnino (LT), in entrambi i casi essendosi verificata un’illecita comunicazione di dati personali, anche relativi alla salute, in violazione degli artt. 11, comma, 1 lett. a), e comma 2, 19, 20 e 22, del Codice, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 101/2018;

CONSIDERATO che il Dipartimento ha rilevato, in particolare, che:

come chiarito dal Garante fin dal 2007 (v. le “Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico”, provv. del 14 giugno 2007, doc. web n. 1417809, par. 8.4), le pubbliche amministrazioni possono trattare legittimamente dati idonei a rivelare lo stato di salute dei propri dipendenti, per accertare, anche d’ufficio, attraverso le strutture sanitarie pubbliche competenti, la persistente idoneità al servizio, alle mansioni o allo svolgimento di un proficuo lavoro (v., in particolare, d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461). Nel disporre tali accertamenti, le amministrazioni devono conformare il trattamento dei dati sanitari del lavoratore secondo modalità volte a prevenire violazioni dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità dell’interessato, anche in riferimento al diritto alla protezione dei dati personali;

nelle stesse Linee guida, è stato evidenziato che analoghi accorgimenti devono essere adottati anche dagli organismi di accertamento sanitario all’atto sia della convocazione dell’interessato a visita medico-collegiale, sia della comunicazione dell’esito degli accertamenti effettuati all’amministrazione di appartenenza del lavoratore, ed eventualmente all’interessato medesimo. In particolare, nel caso di visite mediche finalizzate ad accertare l’idoneità al servizio, alle mansioni o a proficuo lavoro del dipendente, alla luce del principio di indispensabilità, i collegi medici devono trasmettere all’amministrazione di appartenenza dell’interessato il relativo verbale di visita con la sola indicazione del giudizio medico-legale di idoneità, inidoneità o di altre forme di inabilità (v. art. 4, commi 3 e 4, d.P.R. n. 461/2001);

qualora siano trasmessi dagli organismi di accertamento sanitario verbali recanti l’indicazione della diagnosi dell’infermità o della lesione che determinano un’incapacità lavorativa, “i datori di lavoro non possono, comunque, utilizzare ulteriormente tali informazioni” (“Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico”, provv. del 14 giugno 2007, doc. web n. 1417809, par. 8.4). Ciò in quanto, come espressamente previsto dall’art. 11, comma 2, del Codice, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 101/2018, “i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati”:

l’Autorità ha, altresì, invitato le pubbliche amministrazioni, in diverse occasioni (v. par. 5 delle richiamate Linee guida), alla necessaria adozione di misure opportune per prevenire la conoscibilità ingiustificata di dati personali, specie se sensibili o giudiziari, da parte di terzi estranei all’amministrazione o comunque di soggetti che, all’interno dell’amministrazione, non possano considerarsi autorizzati al trattamento. Come, infatti, affermato in molte occasioni dal Garante, i dati personali dei dipendenti, trattati per finalità di gestione del rapporto di lavoro, non possono, di regola, essere messi a conoscenza di soggetti diversi da coloro che sono parte dello specifico rapporto di lavoro, ovvero di coloro che non siano legittimati a trattarli, in ragione delle mansioni assegnate e delle scelte organizzative del titolare del trattamento. Ciò in quanto la messa a disposizione dei dati a soggetti che, ancorché facenti parte dell’organizzazione del titolare del trattamento, non possono essere considerati autorizzati al trattamento (v. art. 30 del Codice, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 101/2018), in ragione del ruolo da essi svolto e delle funzioni esercitate all’interno di detta organizzazione, può dare luogo a una comunicazione di dati personali in assenza di base giuridica (cfr. punti 2, 4, 5.1 e 5.3 delle Linee guida sopra citate);

a fronte dell’invio da parte della Commissione Medica della versione integrale del verbale di visita medico-collegiale, i dati personali dell’interessato, menzionati in tale documentazione, non avrebbero, pertanto, potuto formare oggetto di trattamento, per finalità ulteriori, da parte del datore di lavoro;

l’allora Comandante della Caserma dei Vigili del Fuoco di Latina ha trasmesso la predetta documentazione alla Questura di Latina, affinché quest’ultima adottasse i provvedimenti di competenza ai fini della revoca di una licenza di porto d’armi di cui il Comandante supponeva fosse titolare l’interessato, dovendosi rilevare, a tal riguardo, che il Ministero non ha indicato alcuna norma di legge che espressamente disponesse l’obbligo per il Comandante di effettuare tale comunicazione, trasmettendo la documentazione medica in questione;

d’altra parte, l’art. 153 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 prevede che “agli effetti della vigilanza dell'autorità di pubblica sicurezza, gli esercenti una professione sanitaria sono obbligati a denunciare all'autorità locale di pubblica sicurezza, entro due giorni, le persone da loro assistite o esaminate che siano affette da malattia di mente o da grave infermità psichica, le quali dimostrino o diano sospetto di essere pericolose a sé o agli altri”. Pertanto, ove la Commissione Medica che ha proceduto alla visita dell’interessato avesse riscontrato una patologia ritenuta incompatibile con la detenzione di armi e la licenza di porto d’armi, avrebbe effettuato essa stessa la dovuta segnalazione all’autorità locale di pubblica sicurezza, circostanza che non si è verificata nel caso di specie;

non risulta, peraltro, che l’allora Comandante della Caserma dei Vigili del Fuoco di Latina disponesse di elementi certi e oggettivi, in qualità di datore di lavoro, in merito all’effettiva detenzione di armi e alla titolarità di licenza di porto d’armi in capo all’interessato, tanto che, dalla documentazione in atti, risulta che la licenza di cui lo stesso era titolare fosse già scaduta da tempo;

l’allora Comandante della Caserma dei Vigili del Fuoco di Latina, al dichiarato fine di tutelare la pubblica incolumità, non si è comunque limitato ad informare le autorità competenti in modo generico in merito alla sussistenza di condizioni di salute dell’interessato potenzialmente incompatibili con la detenzione delle armi e la titolarità del porto d’armi, sollecitando le stesse ad avviare le necessarie verifiche di propria competenza, ma ha fornito alla Questura di Latina la versione integrale della documentazione medica in questione, nella quale venivano riportate informazioni relativi alla salute e altre informazioni dettagliate, comunque eccedenti, quali l’indicazione delle pregresse patologie dell’interessato, della terapia farmacologia seguita dallo stesso e degli accertamenti medici da egli effettuati, nonché del giudizio diagnostico;

nel caso di specie, l’allora Comandante della Caserma dei Vigili del Fuoco di Latina, contravvenendo al divieto di trattare per finalità ulteriori i dati personali dell’interessato, anche relativi allo stato di salute, che gli erano stati trasmessi dalla competente Commissione Medica, ha inoltrato tali dati al Questore di Latina, dando luogo a un’illecita comunicazione di dati personali, anche relativi alla salute;

le medesime considerazioni valgono altresì anche in relazione ai successivi trattamenti di dati personali effettuati dalla Questura di Latina, avendo quest’ultimo comunicato la versione integrale della predetta documentazione medica al Commissariato di P.S. di Terracina (LT) e alla Stazione Carabinieri di Sonnino (LT);

CONSIDERATO che le comunicazioni dei dati personali in questione risultano avvenute in data 22 marzo 2018 (v. nota prot. n. 3927 del Comando dei Vigili del Fuoco di Latina) e in data 23 marzo 2018 (v. nota della Questura di Latina prot. n. 26473/2018), quindi, in data anteriore a quella nella quale il Regolamento (UE) 2016/679 è diventato applicabile (25 maggio 2018) e che, pertanto, ai trattamenti dei dati personali in esame si applicano le disposizioni contenute nel Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 1003, n. 196) nella versione antecedente alla riformulazione del medesimo operata a mezzo del d.lgs. n. 101/2018;

VISTO l'atto del XX (prot. n. XX) con cui il Dipartimento Realtà Pubbliche del Garante ha contestato al Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in Palazzo Viminale - 00184 Roma (RM), C.F. 97149560589, la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 19 e 20 del Codice, sanzionate dall'articolo 162, comma 2-bis del medesimo Codice, per aver comunicato dati personali dell’interessato, anche relativi alla salute; 

RILEVATO che dal rapporto amministrativo predisposto dall’Ufficio, ai sensi dell’art. 17 della l. 24 novembre 1981 n. 689, non risulta essere stato effettuato il pagamento in misura ridotta di cui all’art. 16 della legge 689/81;

RILEVATO che il Ministero, con nota del XX (prot. n. XX) ha presentato una memoria difensiva, rappresentando, in particolare, che:

“il comportamento tenuto dal Comandante dei Vigili del fuoco di Latina è  essenzialmente riconducibile ad un atto di buona fede, finalizzato esclusivamente alla prioritaria tutela dell’incolumità pubblica, nel superiore interesse pubblico generale”;

“[…] il Comandante, venuto a conoscenza di un elemento potenzialmente ostativo, al fine di non porre in essere un comportamento omissivo per mancata segnalazione all'organo competente, nel bilanciamento degli interessi in gioco ed in particolare di quello senz’altro preminente della tutela dell’incolumità delle persone, ha ritenuto di dover tempestivamente informare l’Autorità competente dell'eventuale sussistenza di un requisito sopravvenuto, tale da richiedere celermente la riconsiderazione della sussistenza dei requisiti essenziali per il rilascio/rinnovo del porto d’armi”;

“[…] diversamente, laddove non si fosse provveduto ad informare l’autorità competente e da ciò fosse derivato un eventuale fatto criminoso dovuto al possesso dell’arma, ci si chiede se non si sarebbero profilati aspetti di eventuale responsabilità anche a carico di chi, quale autorità pubblica venuta a conoscenza di un potenziale fatto ostativo alla detenzione dell’arma, non ne avesse informato l’organo competente, oltre a riflessi di natura anche etica”;

“ciò che rileva è in stretta connessione con la necessità di fornire un'informazione, ritenuta cruciale, alla competente Autorità provinciale di pubblica sicurezza alla quale andava resa nota con ogni urgenza e per finalità di carattere preventivo, la pericolosità della detenzione dell’arma, a salvaguardia della vita e dell’incolumità fisica dell’interessato stesso e di eventuali terzi”.

VISTO il verbale (prot. n. 48804)  dell’audizione del titolare del trattamento, tenutasi in data XX, nell’ambito della quale il Ministero ha dichiarato, in particolare, che:

“il Comandante Provinciale, in ragione di pregressi gravi episodi di violenza con l’utilizzo di armi da fuoco, che si erano verificati sul territorio, ed avendo contezza del comportamento anomalo tenuto dall’interessato sul luogo di lavoro, come in più occasioni segnalato dai colleghi dello stesso, ha ritenuto di dover segnalare la particolare condizione di salute dell’interessato, come accertata dalla commissione medica, all’autorità competente in materia di rilascio del porto d’armi, ritenendo sussistente una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità”;

“ove non avesse effettuato tale segnalazione, il Comandante Provinciale sarebbe stato ritenuto personalmente responsabile in caso di eventuali incidenti, per non essersi attivato presso le autorità competenti, pur essendo a conoscenza del particolare stato di salute [dell’interessato], relativo alla sfera psichiatrica, e del possesso da parte dello stesso di armi da fuoco”;

“la Corte di Cassazione si è pronunciata nel senso di ritenere lecito uno scambio di dati personali tra soggetti pubblici in uno scenario simile a quello oggetto della segnalazione in questione (XX del XX)”;

“le vicende oggetto di segnalazione si sono svolte in un contesto estremamente delicato, in ragione delle condotte improprie tenute dall’interessato nel contesto lavorativo, che hanno destato allarme e preoccupazione all’interno della caserma, in ragione del fatto notorio che lo stesso si trovasse in possesso di armi da fuoco”;

“è in tale contesto che il Comandante, in qualità anche di pubblico ufficiale, nonché di componente del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, ha ritenuto di dover segnalare la vicenda al Questore (il quale aveva chiesto espressamente di fornire elementi formali a supporto di quanto si intendeva segnalare), con consegna diretta alla persona del Questore la documentazione richiesta al fine dell’avvio dell’istruttoria da parte della Questura. Mentre la Commissione medica aveva informato la Motorizzazione civile in merito alla condizione dell’interessato, in quanto incompatibile con la titolarità di patente di guida, la Commissione non aveva altresì informato le competenti autorità in materia di porto d’armi, e, pertanto, la comunicazione dei dati personali in questione si rendeva un atto non solo opportuno ma anche dovuto”;

“si è, pertanto, agito nella piena convinzione di operare a tutela dell’incolumità pubblica e nell’interesse dello stesso interessato, il quale non ha subito alcun danno in ragione dell’operato dell’Amministrazione. Ciò anche a tutela di interessi vitali di alcuni colleghi dell’interessato, che avevano rappresentato episodi in cui si erano sentiti in pericolo nel rapportarsi con lo stesso”;

“quanto all’inoltro della predetta documentazione, da parte della Questura, all’Arma dei Carabinieri, si precisa che tale invio è dovuto allorquando, come nel caso di specie, l’interessato sia residente in un Comune non capoluogo di provincia o non sede di Commissariato di Polizia”.

CONSIDERATO che quanto rappresentato nella predetta memoria difensiva e in sede di audizione non ha consentito di superare i rilievi notificati dall’Ufficio in quanto, come già evidenziato, l’allora Comandante dei Vigili del Fuoco di Latina avrebbe potuto altrettanto efficacemente perseguire il dichiarato interesse pubblico, consistente nella tutela della sicurezza dei lavoratori e della pubblica incolumità, effettuando una segnalazione alle autorità competenti, sollecitando le stesse ad attivare i controlli di propria competenza, senza inoltrare alle stesse copia integrale della documentazione medica relativa all’interessato; si osserva, altresì, che la sentenza della Corte di Cassazione richiamata dal titolare del trattamento nelle proprie difese si riferisce a una diversa e inconferente fattispecie nella quale un’azienda sanitaria aveva “trasmesso copia della cartella clinica su richiesta dell’autorità di polizia per “urgenti indagini di P.G.”, in un procedimento per la revoca del porto d’armi, poi effettivamente avvenuta”;

RILEVATO che, sulla base delle motivazioni di cui alla contestazione amministrativa del XX (prot. n. XX), che si intendono qui integralmente richiamate e confermate, il Ministero dell’Interno, in persona del rappresentante legale pro-tempore, in qualità di titolare del trattamento, risulta aver commesso la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 19 e 20 del Codice, sanzionata dall’art. 162, comma 2-bis, del Codice medesimo, per aver posto in essere delle comunicazioni di dati personali a soggetti non autorizzati in assenza di una base giuridica;

VISTO l’art. 162, comma 2-bis del Codice, che punisce le violazioni indicate nell’art. 167, tra cui le violazioni relative agli artt. 19 e 20 del medesimo Codice, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 10.000,00 (diecimila) a euro 120.000,00 (centoventimila);

RITENUTO che, per il caso di specie, possa applicarsi la riduzione prevista dall’art. 164-bis, comma 1, del Codice, in quanto dalla documentazione in atti risulta che il Ministero, titolare del trattamento, ha agito in buona fede, nella convinzione che le comunicazioni dei dati personali in questione fossero richieste dalla legge ai fini di tutela della sicurezza sul lavoro e la pubblica utilità, circostanza che, seppur sia stata tenuta in debita considerazione, non risulta comunque sufficiente a giustificare, sotto il profilo della protezione dei dati, la condotta posta in essere;

RITENUTO, pertanto, che la sanzione prevista dal citato art. 162, comma 2-bis, del Codice, rideterminata ai sensi del suddetto art. 164-bis, comma 1, del Codice medesimo, varia da un minimo di euro 4.000,00 ad un massimo di euro 48.000,00;

CONSIDERATO che con la predetta contestazione amministrativa del XX (prot. n. XX), inviata in data XX(nota prot. n. XX), il Garante ha informato il Ministero dell’Interno della possibilità di avvalersi della facoltà di effettuare il pagamento, nel termine perentorio di 60 giorni dalla data di notificazione della contestazione, della somma stabilita in euro 4.000,00 (quattromila);

CONSIDERATO che il Ministero dell’Interno non si è avvalso di tale facoltà;

CONSIDERATO che, ai fini della determinazione dell’ammontare della sanzione pecuniaria, occorre tenere conto, ai sensi dell´art. 11 della legge 24 novembre 1981 n. 689, tra l’altro, della gravità della violazione, e che pertanto l’ammontare della sanzione pecuniaria deve essere quantificato nella misura di euro 4.000,00 (quattromila);

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000, adottato con deliberazione del 28 giugno 2000;

RELATORE la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni;

ORDINA

al Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede legale in Palazzo Viminale - 00184 Roma (RM), C.F. 97149560589, di pagare la somma euro 4.000,00 (quattromila), a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione delle disposizioni di cui all’art. 19 e 20 del Codice medesimo per aver comunicato dati personali dell’interessato, anche relativi alla salute, senza un idoneo presupposto giuridico;

INGIUNGE

al medesimo Ministero di pagare la somma di euro 4.000,00 (quattromila) secondo le modalità indicate in allegato, entro 30 giorni dalla notificazione del presente provvedimento, pena l’adozione dei conseguenti atti esecutivi a norma dall’art. 27 della l. 24 novembre 1981, n. 689.

Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 del d.lgs. n. 150/2011, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 23 marzo 2023

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Cerrina Feroni

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei