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Davvero l’unica soluzione è uscire dai social? - Intervento di Guido Scorza

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Davvero l’unica soluzione è uscire dai social?
Noi possiamo cambiarli, ricondurli a quello che sono e devono essere: un servizio commerciale, uno strumento innovativo, talvolta un passatempo, talaltra una piazza pubblica straordinariamente preziosa per le nostre democrazie. Non c’è ragione per rinunciare a ciò che di buono possono offrirci, per sottrarci al rischio che si impossessino di noi
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 21 gennaio 2023)

È bello, avvincente, coraggioso, stimolante il pezzo che ieri Concita De Gregorio ha affidato alle pagine de La Stampa con il suo invito a uscire dai social senza perdere altro tempo:

“Allora amici: usciamo dai social. Non esistono senza di noi. Si sono impadroniti delle nostre vite per il semplice motivo che gliele abbiamo consegnate. Vivono del nostro sangue che gli forniamo ogni giorno: una bella edificante foto su Instagram, un post che ci rendere interessanti e certo migliori di quello che siamo, che nasconda per carità le nostre fragilità, le vite occulte, le nostre vere pulsioni e passioni”.

C’è tanto di vero, di condivisibile, persino di incontrovertibile in quello che scrive, specie quando punta l’indice sull’effetto dei social sui più giovani:

“Pensate ai ragazzi: alle loro vite tutte quante virtuali, ormai, al sesso imparato sui siti porno, alle relazioni mediate dal giudizio del mondo intero, un mondo sconosciuto. Se parlo con qualcuno che ho di fronte so a chi parlo, se parlo con il web non so chi mi ascolta: e come faccio, se ho 12 anni, a piacere a chi mi ascolta senza sapere chi è? Posso solo fare come mi dicono di fare, imitare quelli già popolari. Essere uguale a qualcuno, rinunciare a essere chi sono. È una tragedia per i ragazzi”.

Ha ragione, più che ragione.

Sui social si scriverebbe 100% e la si finirebbe lì, con un cuore, un pollice alzato, un bel “top” seguito da una freccia all’insù.

Il pezzo, sin qui, proprio sui social ha avuto una eco decisamente inferiore rispetto a quella che la stessa De Gregorio si aspettava:

“Non mi preoccuperò nello scrivere queste righe delle reazioni che scatenerà sui social domattina”.

Sin qui reazioni serie non pervenute. E, invece, la questione che solleva è seria e non può essere lasciata scorrere via come se non ci interessasse. Connessi a Internet e, con poche eccezioni, sui social, ci sono in questo momento cinque miliardi di persone sugli otto che abitano il nostro pianeta e passiamo online più o meno la metà del tempo che siamo svegli. Oltre sei ore al giorno connessi a Internet e due e mezzo, minuto più minuto meno, sui social network, molto di più, probabilmente, per alcune fasce della popolazione, più giovani inclusi. Nessuna esagerazione, quindi, se si scrive che niente plasma la nostra esistenza come la nostra vita nella dimensione digitale e quella sui social in maniera particolare.

Nessun dubbio che senza i social saremmo diversi. Non dico migliori e non dico peggiori perché non lo so e perché, probabilmente, non c’è un giudizio universale valido per tutti, ma diversi certamente. E con noi, naturalmente, sarebbe diversa l’intera società. Ecco perché la questione che la De Gregorio pone – certamente non per prima – è importante e meriterebbe di accendere un dibattito al quale nessuno dovrebbe sottrarsi. Perché, certo, per quanto i social siano pervasivi, per quanto abbiano occupato prepotentemente il nostro tempo, per quanto ci abbiano letteralmente inghiottiti e si avviino a farlo sempre di più nel metaverso che verrà – se verrà -, i social non sono l’aria, non sono l’acqua, non sono il cibo. Farne a meno è certamente possibile. Personalmente, però, non sono convinto che la risposta migliore che possiamo dare alla questione sollevata da De Gregorio, sia quelle che lei suggerisce.

La sua conclusione non la condivido.

Io non credo che noi – innanzitutto gli adulti, ciascuno con le proprie responsabilità personali, professionali e istituzionali – si debba uscire tutti insieme dai social e suggerire ai più giovani di fare altrettanto. Se lo pensassi mi sentirei sconfitto, mi sentirei di ammettere che abbiamo fallito in ogni esercizio di governo dell’innovazione, che siamo davanti a una scelta binaria: o rinunciamo a tutto o a niente. Come dire che i social – una fetta importante dell’ecosistema digitale nel quale passiamo gran parte della nostra vita – sono così e vanno usati come li stiamo usando, oggettivamente non nel modo migliore possibile: prendere o lasciare. Perché dovremmo rispondere così? Perché dovremmo dichiararci battuti da uno dei prodotti dell’innovazione tecnologica? Perché dovremmo rinunciare a provare a governarli, cambiarli, modificare il mondo in cui li usiamo e li usano, soprattutto, i più giovani? Davvero i social network e, in ultima analisi, le società che li gestiscono comandano il mondo, sono i padroni delle nostre vite e di quelle dei nostri figli? Io non credo. Non dobbiamo far presto e uscire dai social come suggerisce De Gregorio ma, esattamente per le ragioni che la portano a questa conclusione – e per tante, purtroppo, ragioni di più – dobbiamo imparare a usarli senza esserne usati o, per dirla con le parole della stessa Concita, dobbiamo trattarli da merce anziché farci merce, considerarli un telefono e non diventare noi un telefono. Non è impossibile, non ancora almeno. I giganti che li gestiscono rispondono alle regole dei Parlamenti, dei Governi e dei mercati e, soprattutto hanno – e in questo ha ancora una volta ragione De Gregorio – un disperato bisogno della fiducia e ancor di più del tempo di miliardi di persone. Senza dire che senza i nostri dati personali – come comincia a risultare chiaro dappertutto in giro per il mondo – semplicemente non esisterebbero. I più forti, insomma, siamo noi, forse non come singoli, ma certamente, come società, comunità globale, collettività e Stati. Noi possiamo cambiarli, ricondurli a quello che sono e devono essere: un servizio commerciale, uno strumento innovativo, talvolta un passatempo, talaltra una piazza pubblica straordinariamente preziosa per le nostre democrazie. Non c’è ragione per rinunciare a ciò che di buono possono offrirci, per sottrarci al rischio che si impossessino di noi. E non c’è, forse, ragione neppure per ipotizzare uno scontro, una guerra, una battaglia, le donne e gli uomini contro i social. Uniamo semplicemente le forze, mettiamo a fattor comune il nostro tempo, impariamo a sindacare i nostri dati personali, chiediamo ai nostri Governi di governare il fenomeno anziché lasciarsi governare dal fenomeno per convenienza politica e, restiamo nei social, ma alle nostre condizioni.