g-docweb-display Portlet

Provvedimento del 7 aprile 2022 [9833024]

Stampa Stampa Stampa
PDF Trasforma contenuto in PDF

[doc. web n. 9833024]

Provvedimento del 7 aprile 2022

Registro dei provvedimenti
n. 124 del 7 aprile 2002

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti ed il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, in data 6 novembre XX con il quale XX, rappresentato dagli avvocati XX e XX ha chiesto di ordinare a Google LLC:

la rimozione, dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo, di tutti gli URL indicati e collegati ad articoli contenenti informazioni riguardanti un suo asserito coinvolgimento in attività criminose rispetto alle quali il medesimo non è mai stato sottoposto ad indagine e “delle relative tracce digitali, quali snippet e copie cache, sia nelle versioni europee che in tutte le versioni extraeuropee dei propri domini, ivi incluso il dominio “.com””;

la rimozione di tutti gli URL “collegati ad articoli, testi e pagine web contenenti i [propri] dati personali di contenuto analogo a quelli oggetto del (…) reclamo (…) e delle relative tracce digitali, quali snippet e pagine cache, sia nella versione europea che in tutte le versioni extraeuropee dei propri domini, ivi incluso il dominio “.com””;

di “non reiterare in futuro la condotta di illecita indicizzazione dei [propri] dati personali (…) a livello globale e, pertanto, su tutti i propri domini europei ed extraeuropei, ivi incluso il dominio “.com””;

di vietare a Google “ogni futura indicizzazione di URL collegati ad articoli, testi e pagine web contenenti i [propri] dati personali di contenuto analogo a quelli oggetto del (…) reclamo (…) e delle relative tracce digitali, quali snippet e pagine cache, a livello globale e, pertanto, su tutti i propri domini europei ed extraeuropei, ivi incluso il dominio “.com””;

CONSIDERATO che l’interessato ha, in particolare, rappresentato:

di aver svolto sino al XX la propria attività all’interno di una XX specializzata nella prestazione di XX operante in ambito internazionale e di aver successivamente fondato, a partire dal XX, una XX che ha prestato la propria attività a favore, tra gli altri, della XX, XX della quale a partire dal XX è stato XX e XX l’allora XX;

di essere attualmente azionista e membro del consiglio di amministrazione di una XX e con sede principale a XX e con uffici presenti nelle città più importanti del mercato internazionale, risultando con ciò evidente che i propri interessi “esondano ben oltre i confini dell’Unione Europea”;

che, solo in considerazione dell’incarico affidatogli dalla predetta XX, il suo nome risulta citato all’interno di numerosi articoli riguardanti l’allora XX – nonché proprio XX– riportando notizie non veritiere e diffamatorie sul proprio conto delle quali non esiste alcun riscontro in termini giudiziari non essendo egli mai stato indagato o perseguito in nessun Paese del mondo;

che negli articoli presenti in rete, pubblicati tra il XX ed il XX “facilmente rintracciabili a partire dal [proprio] nominativo”, veniva “falsamente ritenuto coinvolto in accuse di XX di denaro insieme ad alcuni XX, XX per la quale” aveva effettuato attività di XX senza mai svolgere alcun ruolo di rappresentanza, e venivano riportate “pesanti insinuazioni in merito ad un’asserita – e mai provata – indagine per evasione fiscale” nella quale sarebbe stato coinvolto, oltreché di “XX, al fine di nascondere la propria vera identità”;

le informazioni rese tramite gli articoli contestati non riguardano fatti obiettivi, ma “mere opinioni della stampa non supportate da alcun elemento di prova e dettate da chiari intenti diffamatori e lesivi della reputazione e della [propria] personalità”;

non sussiste alcun interesse pubblico prevalente a conoscere tali informazioni tenuto conto del fatto che egli non riveste alcun ruolo pubblico e che le notizie in questione, oltre ad essere risalenti a diversi anni prima, non risultano né accurate e né aggiornate e restituiscono una proiezione della sua persona “per nulla attuale e veritiera”;

che la rimozione è richiesta con riguardo a tutti i domini del motore di ricerca tenuto conto dell’ambito territoriale di svolgimento della propria attività e del fatto che un intervento limitato all’Unione europea sarebbe altamente pregiudizievole dei propri diritti, con particolare riguardo al diritto alla reputazione tutelato dall’art. 8 della Cedu;

che il trattamento effettuato da Google risulta in conflitto con gli artt. 5 e 6 del Regolamento europeo, oltreché con le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia relativamente al trattamento di dati giudiziari da limitarsi a quanto strettamente necessario a garantire la libertà informativa degli utenti;

che Google avrebbe altresì violato l’art. 12, par. 3, del Regolamento in quanto, “nonostante i ripetuti solleciti” inviati al titolare del trattamento, quest’ultimo “ha omesso di fornire riscontro alla richiesta di deindicizzazione nei termini prescritti dal GDPR” come dimostrato dal fatto che la richiesta avanzata in data XX ha ricevuto riscontro solo il XX;

VISTA la nota del 13 gennaio 2021 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine a quanto rappresentato nell’atto introduttivo del procedimento e di comunicare la propria eventuale intenzione di aderire alle richieste del reclamante;

VISTA la nota del 5 febbraio 2021 con la quale l’Autorità, a seguito di motivata richiesta del titolare del trattamento, ha concesso una proroga per la trasmissione del riscontro alle richieste contenute nel reclamo;

VISTA la memoria trasmessa il 4 marzo 2021 con la quale Google LLC, rappresentata dagli avvocati XX, XX ed XXn, ha rilevato:

preliminarmente, l’inammissibilità del reclamo in quanto evidentemente diretto, sulla base di quanto dedotto nell’atto di reclamo, a tutelare diritti diversi dal diritto all’oblio di cui all’art. 17 del Regolamento ed in particolare il diritto all’immagine, all’onore ed alla reputazione che costituiscono diritti diversi dal diritto alla protezione dei dati personali tutelabili innanzi all’autorità giudiziaria e riguardo ai quali il Garante non ha competenza;

che quest’ultima azione deve essere eventualmente proposta nei confronti dei gestori dei siti che hanno pubblicato le informazioni ritenute false e diffamatorie e non nei confronti del gestore di un motore di ricerca “il cui unico ruolo è quello di indicizzare e restituire un elenco di URL relativi a pagine web che altri hanno pubblicato sotto la propria responsabilità”;

che la circostanza che le informazioni reperibili tramite gli URL dei quali è chiesta la deindicizzazione siano false, diffamatorie o imprecise non rileva rispetto alla valutazione dell’esistenza o meno del diritto ad essere dimenticati dalla collettività ed un’interpretazione diversa aprirebbe la strada ad iniziative “illegittime (…) formalmente volte a tutelare i dati personali dell’interessato, ma in realtà dirette a censurare contenuti scomodi attraverso strumenti processuali alieni rispetto a quelli che l’ordinamento prevede per il contrasto degli illeciti di diffamazione”;

l’inammissibilità dell’ulteriore richiesta volta ad ottenere la deindicizzazione di tutti gli URL collegati ad articoli e pagine web contenenti dati personali del reclamante di contenuto analogo a quelli oggetto di reclamo, nonché di “vietare ogni futura illecita indicizzazione di URL” collegati ai predetti contenuti in quanto generica ed indeterminata ed in aperto contrasto con l’art. 17 del d.lgs. n. 70 del 2003 (cd. decreto sul commercio elettronico) “poiché presumerebbe un’attività di ricerca e monitoraggio da parte di Google LLC che l’art. 17 [del citato decreto] vieta espressamente”;

che la richiesta di rimozione di un dato contenuto rivolta ad un Internet Service Provider “non può essere generica, ma deve necessariamente individuare il contenuto in questione in modo specifico e univoco” come più volte ribadito dalla giurisprudenza;

che gli URL indicati nell’atto di reclamo con i nn. 8, 16 e 23 non risultano visualizzabili tramite il motore di ricerca gestito da Google per ricerche effettuate con il nome del reclamante;

nel merito, che la richiesta di deindicizzazione fondata sull’esercizio del diritto all’oblio deve essere comunque rigettata non sussistendo nel caso in esame i presupposti dell’invocato diritto tenuto conto del fatto che si tratta di contenuti di pubblicazione recente (dal XX al XX) aventi ad oggetto gravi fattispecie di reato, quali XX di reato, evasione fiscale e corruzione, di cui il reclamante è stato accusato in relazione “alle attività di XX prestate per la XX”;

che si tratta di notizie attuali collegate all’attività professionale svolta dal reclamante e dunque al ruolo esercitato nella vita pubblica secondo le indicazioni contenute nelle Linee Guida del WP art. 29 del 26 novembre 2014 essendo il medesimo un uomo d’affari ed un consulente che offre i propri servizi a clienti a livello internazionale, come da lui stesso affermato;

che i gravi fatti riportati negli articoli oggetto di contestazione sarebbero stati posti in essere nell’esercizio della sua attività di XX, tra i quali anche il reato di XX di denaro che sarebbe avvenuto tramite una XX”, e che la deindicizzazione dei relativi articoli “mortificherebbe il diritto del pubblico ad essere informato”;

che i contenuti contestati hanno natura giornalistica e che molte delle informazioni reperibili tramite gli URL oggetto di reclamo sono stati pubblicati da diversi organi di stampa di rilievo internazionale;

che della vicenda si è occupato anche il giornalista investigativo XX il quale, contrariamente a quanto asserito dal reclamante, non appare mosso da un intento persecutorio nei confronti del medesimo, tenuto conto che dal XX”;

che, infine, deve ritenersi inammissibile la richiesta di delisting globale, ossia estesa ai domini extraeuropei del motore di ricerca, trattandosi di una pretesa espressamente esclusa dalla Corte di Giustizia che nella sentenza relativa alla causa C-507/17 adottata il 24 settembre 2019 ha negato la sussistenza di un obbligo di questo tipo in capo al gestore di un motore di ricerca sulla base di principi che sono stati ribaditi anche dalla giurisprudenza nazionale pronunciatasi sul punto;

che, contrariamente a quanto asserito da controparte, Google non ha mai dichiarato, in sede di riscontro agli interpelli presentati dall’interessato, che avrebbe provveduto a rimuovere parte dei link – dimostrando così, a detta del medesimo, un’asserita incoerenza con riguardo al diniego opposto relativamente alla richiesta di rimozione di ulteriori URL collegati a contenuti analoghi – essendosi invece limitata a dare atto della non reperibilità di alcuni dei predetti  URL per ricerche condotte con il nome del reclamante;

che non corrisponde a verità quanto affermato dall’interessato relativamente al mancato e/o tardivo riscontro all’istanza avanzata in data XX tenuto conto del fatto che, come dimostrato tramite la documentazione prodotta in allegato alla memoria, la XX ha fornito la propria risposta il giorno successivo, ovvero in data XX;

VISTA la nota del 25 marzo 2021 con la quale l’Autorità ha concesso all’interessato una proroga del termine originariamente indicato per formulare eventuali osservazioni tenuto conto della documentata necessità di disporre di un tempo aggiuntivo dovuto alla mancata tempestiva ricezione del riscontro fatto pervenire dal titolare;

VISTA la memoria del 30 aprile 2021 con la quale l’interessato, nel contestare il riscontro fornito dal titolare del trattamento, ha eccepito che:

contrariamente a quanto dedotto da Google LLC, il reclamo non possa ritenersi inammissibile tenuto conto del fatto che lo stesso è diretto a tutelare i propri diritti dal trattamento illecito effettuato dalla XX tramite l’indicizzazione di informazioni false, fuorvianti ed inesatte “da cui non può che scaturire – quale inevitabile conseguenza – una grave lesione della propria identità personale, in termini di danno all’immagine, all’onore ed alla reputazione” benché non siano questi ultimi l’oggetto diretto del reclamo presentato all’Autorità;

Google, seppure non possa ritenersi direttamente responsabile dei contenuti indicizzati, non può dirsi esonerata dalla responsabilità per illecito trattamento di dati personali laddove, “nell’indicizzare informazioni personali, le tratti in maniera inesatta, non pertinente, eccessiva o non aggiornata rispetto alle finalità perseguite”;

riguardo ai tre URL che Google ha dichiarato non essere reperibili in associazione al proprio nome, ne rimette la valutazione all’Autorità insistendo per l’accoglimento della richiesta di rimozione, più volte reiterata al titolare del trattamento, con riguardo agli ulteriori URL contestati;

con riferimento alla contestata inammissibilità del reclamo in ordine a contenuti non specificati, la recente giurisprudenza ha individuato, in alcuni casi, un ruolo attivo degli Internet Service Provider, idoneo come tale a determinare il superamento del regime di sostanziale irresponsabilità del gestore di cui agli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 70 del 2003 che potrebbe trovare applicazione anche ai gestori di motori di ricerca imponendo a questi ultimi l’obbligo di rimuovere il contenuto e di impedire violazioni “anche indipendentemente dal fatto che siano indicati gli URL di ciascun contenuto, al fine del sorgere del dovere di attivarsi”;

in virtù di tale ragionamento, Google sarebbe tenuta a rimuovere dai risultati di ricerca ottenuti attraverso il proprio nominativo “non solo gli URL contestati, ma anche ogni altro URL che rimandi a contenuti analoghi, in quanto ugualmente lesivi dei diritti dell’interessato, astenendosi, quindi, anche in futuro da ogni illecita attività di indicizzazione in suo danno” e ciò al fine di garantire al medesimo una tutela piena ed effettiva che sarebbe invece vanificata laddove fosse costretto quotidianamente “a denunciare (…) a Google una nuova violazione dei propri dati personali”;

con riguardo all’asserita infondatezza del reclamo, rilevata dal titolare del trattamento per ritenuta assenza dei presupposti del diritto all’oblio, ai fini della valutazione delle richieste di rimozione occorre considerare, oltre al fattore temporale – pure rilevante nel caso in esame trattandosi di contenuti pubblicati tra il XX ed il XX – anche altri elementi con particolare riguardo all’esattezza ed alla pertinenza delle informazioni diffuse;

l’attività da lui svolta, trattandosi di XX, non può annoverarsi tra le attività che il WP Art. 29 considera, a titolo esemplificativo, riconducili ad un ruolo pubblico, dovendosi tenere conto del fatto che non ha mai svolto alcuna funzione nella vita pubblica, né risulta essere un soggetto mediaticamente esposto;

nel caso in esame le informazioni divulgate risultano palesemente false e prive di riscontri oggettivi apparendo con ciò idonee a restituire un’impressione gravemente fuorviante della propria identità personale ed a determinare un impatto sproporzionato sui propri diritti in quanto espressione di una campagna personale posta in essere nei propri confronti tenuto conto che egli risulta essere “vittima di un martellamento mediatico dettato da fini chiaramente diffamatori”;

che, in merito all’asserita natura giornalistica delle informazioni contestate dedotta dal titolare del trattamento a fondamento del proprio diniego, in realtà “i contenuti degli articoli indicizzati da Google (…) non sono sorretti da alcuna finalità giornalistica o informativa quanto unicamente da finalità meramente economiche e commerciali e, anzi, da intenti chiaramente persecutori nei confronti del reclamante, trattandosi di mere opinioni ed esternazioni negative nei confronti della sua persona, dettate da scopi evidentemente diffamatori”;

con riguardo all’affermata inammissibilità della richiesta di deindicizzazione globale, dedotta da Google LLC, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 24 settembre 2019 (causa C-507/17), che si è pronunciata sulla questione del delisting globale, precisa che sebbene il diritto europeo non preveda, allo stato attuale, una deindicizzazione estesa a tutte le versioni (anche extra UE) del motore di ricerca neppure impedisce tale possibilità lasciando un margine di valutazione in capo all’autorità di controllo o ad un giudice di uno Stato membro all’esito di un bilanciamento tra il diritto alla protezione dei dati dell’interessato e la libertà di informazione che tenga conto del singolo caso concreto e degli interessi coinvolti;

nel caso in esame, i propri interessi non possono ritenersi circoscritti entro i confini dell’Unione europea in quanto egli svolge attività di XX per clienti di diversi Paesi e che gli articoli collegati agli URL dei quali è chiesta la rimozione sono redatti XX e pertanto facilmente conoscibili in tutto il mondo, ragione per la quale una rimozione limitata al solo ambito europeo pregiudicherebbe l’effettività della tutela dei propri diritti;

il trattamento posto in essere da Google è avvenuto in violazione degli artt. 5 e 6 del Regolamento, ovvero dei principi di liceità ed esattezza dei dati trattati, nonché dell’art. 9 tenuto conto del fatto che all’interno degli articoli si fa riferimento “a presunti – e mai provati – XX”;

il titolare del trattamento ha altresì violato l’art. 12, par. 3, del Regolamento in quanto ha omesso di fornire riscontro alle richieste di rimozione inviate dal medesimo anteriormente all’atto di reclamo entro i termini previsti dalla norma tenuto conto del fatto che la comunicazione inviata il XX riceveva riscontro solo il XX, ovvero a distanza di tre mesi;

VISTA la memoria del 16 giugno 2021 con la quale il titolare del trattamento, nel richiamare le osservazioni già depositate, ha rilevato che:

l’interessato, nell’atto di reclamo e nelle deduzioni successive, confonde due diritti diversi, ovvero il diritto all’oblio ed il diritto alla reputazione, che sono fondati su presupposti diversi e tutelati nell’ordinamento con strumenti differenti;

una notizia falsa e diffamatoria “non determina per forza l’esistenza di un diritto all’oblio dell’interessato” almeno secondo le indicazioni desumibili dalle Linee Guida del WP Art. 29 del 26 novembre 2014 e nelle recenti Linee Guida dell’EDPB del luglio 2020 che attribuiscono rilievo ad altri criteri, primariamente quello temporale che consente di apprezzare l’inesattezza di un dato in quanto obsoleto o datato;

gli artt. 17 e 21 del Regolamento non trovano tout court applicazione nei confronti dei gestori dei motori di ricerca, ma occorre tenere conto delle caratteristiche e delle funzionalità di questi ultimi come chiarito nelle recenti Linee Guida dell’EDPB che individuano i presupposti e, di conseguenza, i limiti per ottenere la deindicizzazione di contenuti restituiti sotto forma di risultati di ricerca in associazione al nome e cognome dell’interessato;

nessuna delle ipotesi di cancellazione contemplate dall’art. 17 si riferisce alla lesione del diritto all’onore ed alla reputazione che sono ipotesi distinte dal diritto all’oblio e che non possono trovare tutela nei confronti del gestore di un motore di ricerca, ma eventualmente nei confronti del soggetto che ha pubblicato le informazioni;

pur laddove si volesse intendere la richiesta di deindicizzazione quale espressione del diritto di opposizione di cui all’art. 21, comma 1, del Regolamento, occorre valutare la stessa in esito ad un giudizio di bilanciamento che tenga conto dell’eventuale sussistenza di un interesse del pubblico a disporre di certe informazioni e rispetto al quale “l’eventuale asserita falsità e/o diffamatorietà della notizia che muove la pretesa dell’interessato (…) è solo una di quelle situazioni personali che lo legittima semmai a proporre l’azione”;

che i tre URL contrassegnati nella prima memoria di Google con i nn. 8, 16 e 23 non risultano reperibili in associazione al nominativo dell’interessato il quale non ha contestato tale circostanza nelle memorie successive al riscontro fornito sul punto dalla medesima;

il reclamo deve ritenersi inammissibile con riguardo alla richiesta di rimozione di contenuti non identificati tenuto conto del fatto che, in virtù del ruolo di caching provider ricoperto dal motore di ricerca, quest’ultimo non è responsabile del contenuto delle notizie riportate nelle pagine web indicizzate e non può ad esso essere imposto un obbligo di monitoraggio preventivo delle informazioni o di ricerca attiva di esse (cfr. art. 17 del d.lgs. n. 70 del 2003);

in ragione di ciò il motore di ricerca potrà effettuare una valutazione della richiesta dell’in-teressato solo laddove quest’ultima sia specifica e contenga l’indicazione degli URL dei quali è domandata la rimozione, come confermato in più occasioni dalla giurisprudenza di merito;

che il reclamo deve ritenersi infondato nel merito in applicazione dei criteri sopra menzionati e che inammissibile debba invece considerarsi la richiesta di delisting globale posta l’erroneità dell’interpretazione offerta da controparte con riguardo alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 24 settembre 2019 che si è pronunciata sul punto sostanzialmente negando la sussistenza di tale obbligo a carico del gestore di un motore di ricerca e prevedendo un’apertura in capo alle autorità amministrative o giudiziarie degli Stati membri nel presupposto però che sussistano specifiche norme nazionali, ulteriori alla disciplina europea in materia di protezione dati personali, che consentano un’attuazione extraterritoriale della decisione eventualmente assunta, ipotesi che allo stato attuale non sussiste nel diritto nazionale italiano (cfr. sentenza del Tribunale di Milano 21 settembre 2020);

VISTA la memoria del 30 luglio 2021 con la quale l’interessato, nel richiamare le argomentazioni già dedotte, ha rilevato, con particolare riguardo all’inammissibilità del reclamo, che:

nel caso di specie, il danno all’immagine, all’onore ed alla reputazione non rappresenta altro che la logica, diretta ed inevitabile conseguenza della grave lesione del suo diritto all’oblio in violazione degli artt. 17 e 21 del Regolamento;

Google, nella propria memoria di replica, “riconosce che uno dei fattori a favore della deindicizzazione, indicati nelle Linee Guida del WP Art. 29 del 26 novembre 2014, è rappresentato dall’inesattezza delle informazioni” e, come dimostrato sulla base della documentazione prodotta, “i risultati della ricerca eseguita (…) a partire dal nominativo del reclamante sono del tutto inesatti e privi di qualsivoglia evidenza o riscontro oggettivo, ed anzi forniscono una rappresentazione non veritiera e fuorviante della [sua] persona”;

risulterebbe illogico “prescrivere ai motori di ricerca di deindicizzare - o quanto meno rettificare - i dati personali inesatti (anche laddove non danneggino la reputazione dell’interessato) e che il medesimo obbligo non debba, invece, sorgere in capo ai suddetti titolari del trattamento in relazione all’indicizzazione di informazioni che siano al tempo stesso inesatte e diffamatorie e, pertanto, dannose per la reputazione dell’interessato” tenuto conto del fatto che la diffusione in tal modo operata determina un’amplificazione degli effetti dannosi in capo al medesimo;

VISTA la nota del 9 agosto 2021 con la quale è stata comunicata alle parti, ai sensi dell’art. 143, comma 3, del Codice, nonché dell’art. 8, comma 1, del regolamento dell’Autorità n. 2/2019 (in www.garanteprivacy.it, doc. web n. 9107640), la proroga del termine per la definizione del procedimento;

VISTA la memoria del 29 ottobre 2021 con la quale Google ha ribadito quanto già in precedenza dedotto, richiamando la distinzione tra diritto all’oblio ed altri diritti della persona, quali il diritto all’immagine ed il diritto alla reputazione, e precisando di aver condotto il giudizio di bilanciamento richiesto dall’art. 17, par. 1, lett. c), del Regolamento sulla base dei parametri indicati dalla sentenza della Corte di Giustizia del 2014 e dalle successive Linee Guida in materia di oblio tenendo in considerazione, in particolare, il breve lasso di tempo decorso, il ruolo rivestito dal sig. XX con riguardo all’attività della XX e l’attualità delle informazioni reperibili in rete;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi  trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di quanto previsto dall'art. 3, par. 1;

il trattamento di dati personali connesso all'utilizzo del motore di ricerca di Google risulta tuttavia direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

tale circostanza è idonea a fondare, ai sensi dell'art. 55, par. 1, del Regolamento, la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

RILEVATO preliminarmente che:

il reclamo può essere esaminato solo con riferimento alla richiesta di rimozione riferita a contenuti individuati, quali quelli contraddistinti da URL specifici;

a tale riguardo le norme del Codice e dei regolamenti interni del Garante (cfr. artt. 142 del Codice e 8 del regolamento n. 1/2019 in www.gpdp.it) prevedono che le richieste contenute nel reclamo siano sufficientemente precisate e tale indicazione assume un particolare rilievo con riguardo all’attività posta in essere dal gestore di un motore di ricerca che, pur essendo qualificabile quale titolare del trattamento con riguardo alle operazioni effettuate nell’ambito del servizio di indicizzazione offerto agli utenti, non rileva tuttavia quale editore di contenuti da cui consegue peraltro il particolare regime di responsabilità delineato dal d.lgs. n. 70 del 2003 (cd. decreto sul commercio elettronico) e richiamato espressamente dall’art. 2, par. 4, del Regolamento;

peraltro, ove fosse ammissibile la richiesta di rimozione di contenuti non individuati anche eventualmente disponibili in un momento successivo alla presentazione del reclamo, verrebbe pregiudicata la possibilità per l’Autorità di poter effettuare un bilanciamento tra i diritti invocati dal singolo e l’interesse del pubblico a disporre delle informazioni indicizzate in quanto risulterebbe carente l’oggetto stesso della valutazione da condurre;

PRESO ATTO che Google, con riguardo agli URL indicati con i numeri da 8, 16 e 23 nell’elenco allegato alla memoria del 4 marzo 2021, ha dichiarato che gli stessi non sono reperibili in associazione al nominativo dell’interessato e di non poter pertanto adottare misure in merito, circostanza quest’ultima non contestata dal reclamante;

RITENUTO pertanto che non vi siano i presupposti per l’adozione di provvedimenti in merito da parte dell’Autorità; 

CONSIDERATO, con riguardo all’istanza di rimozione degli ulteriori URL indicati nell'atto introduttivo avanzata nei confronti di Google LLC, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio ai sensi degli artt. 17, par. 1, lett. c), e 21, par. 1, del Regolamento, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nonché delle più recenti “Linee Guida” n. 5/2019 adottate dall’European Data Protection Board (EDPB) il 7 luglio 2020, contenenti i criteri per l’applicazione del diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca alla luce del Regolamento;

RILEVATO, con riguardo a detti URL, che:

i contenuti reperibili per il tramite di essi rimandano ad informazioni pubblicate per lo più in epoca recente tenuto conto del fatto che diversi articoli si collocano tra il XX ed il XX;

i predetti articoli ripercorrono vicende molto rilevanti riguardanti la XX che fu a lungo gestita da XX, XX, ed in favore della quale quest’ultimo svolse, nello stesso periodo, attività di XX, professione che il medesimo tuttora svolge a livello globale come da lui dichiarato;

le informazioni reperibili in rete sono essenzialmente dirette a rappresentare il ruolo avuto dal primo e dal suo entourage nel determinare il depauperamento delle risorse finanziarie della predetta XX, evidenziando l’esistenza di specifiche interazioni con l’ambiente politico e dando conto di indagini avviate nei confronti di tali soggetti da parte, tra l’altro, di diverse XX;

il riferimento ivi contenuto alla persona del reclamante risulta motivato proprio in virtù della  funzione svolta con riguardo alle attività della XX, ruolo del quale  si fa menzione, in alcuni articoli, in termini neutri, mentre in altri dando conto dell’esistenza di investigazioni avviate nei suoi confronti con riguardo ad alcune fattispecie di reato riportate in via presuntiva;

la vicenda, valutata nel suo complesso, è di sicuro interesse pubblico in quanto descrive una complessa rete di rapporti che ha avuto ampia risonanza anche in ambito internazionale, come dimostrato anche dal fatto che gli articoli oggetto di contestazione sono redatti XX;

le doglianze espresse con il reclamo, pur richiamando le disposizioni sulle quali si fonda l’esercizio del diritto all’oblio, sono dirette essenzialmente a rilevare l’asserita falsità delle informazioni pubblicate, in parte riconducibili, secondo quanto affermato dall’interessato, anche ad opinioni espresse dalla stampa;

tali deduzioni non appaiono sufficienti ad integrare elementi oggettivi sulla base dei quali ritenere inesatti i dati pubblicati all’interno di articoli comunque pubblicati in epoca recente e che riguardano informazioni relative ad un’inchiesta rilevante a livello internazionale;

le Linee guida n. 5/2019 dell’European Data Protection Board sui criteri per l’applicazione del diritto all’oblio con riguardo ai motori di ricerca e prevedono espressamente che, tra le circostanze che possono essere dedotte dall’interessato al fine di argomentare la “situazione particolare” che, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del Regolamento in combinato disposto con l’art. 17, par. 1, lett. c) del medesimo, può essere posta a fondamento della richiesta di rimozione, vi può essere quella consistente nel fatto che le informazioni oggetto di trattamento “costituiscono incitamento all’odio, calunnia, diffamazione o analoghi reati di opinione (…) come sancito da una decisione giudiziale”;

pertanto, nel caso in esame ed alla luce degli elementi valutabili ai fini dell’esercizio del diritto all’oblio, si reputa sussistente l’interesse del pubblico a conoscere le informazioni reperibili tramite gli URL indicati nell’atto di reclamo trattandosi di una vicenda recente che ha avuto e che tuttora presenta grande rilevanza, tenuto conto del ruolo avuto dall’interessato con riguardo all’attività svolta dalla XX e fermo restando il diritto del medesimo di agire nei confronti degli editori al fine di chiedere l’accertamento della falsità delle notizie riportate nei relativi articoli;

RITENUTO, pertanto, di dover considerare il reclamo infondato in ordine alla richiesta di rimozione dei sopra indicati URL;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Agostino Ghiglia;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1 lett. f), del Regolamento:

a) prende atto di quanto dichiarato da Google in ordine al fatto che gli URL indicati con i numeri 8, 16 e 23 nell’elenco allegato alla memoria del 4 marzo 2021 non risultano reperibili in associazione al nominativo dell’interessato e ritiene pertanto che non vi siano i presupposti per adottare misure in merito da parte dell’Autorità;

b) dichiara il reclamo infondato con riguardo alla richiesta di rimozione degli ulteriori URL.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 7 aprile 2022

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Ghiglia

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei