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Il Digital service act dell'Ue limiterà gli strumenti di controllo di massa della Rete - Intervento di Guido Scorza - MF

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Il Digital service act dell'Ue limiterà gli strumenti di controllo di massa della Rete
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(MF, 26 aprile 2022)

C'è una sottile linea rossa che collega l'intesa politica raggiunta nei giorni scorsi dalle Istituzioni europee sul Digital Service Act - uno dei pilastri regolamentari europei per il governo del digitale negli anni a venire - e l'offerta con la quale Elon Musk vuole portarsi a casa il 100% delle azioni di Twitter e far uscire il social dai mercati finanziari. E, tuttavia, questa linea sottile rappresenta, probabilmente, la struttura portante dell'intero ecosistema digitale e la conferma che quest'ultimo ha, ormai, letteralmente assorbito la nostra società che vive immersa nella dimensione digitale in tutte le sue relazioni culturali, sociali, polìtiche, democratiche e, anche - ma solo anche - economiche e finanziarie.

Il vero obiettivo perseguito con il Digital Service Act, infatti, è quello di rendere la comunicazione digitale in tutte le sue dimensioni più trasparente, affidabile, e compatibile con lo sviluppo di una società aperta, partecipata, egali taria, libera e democratica. E che per raggiungere questo obiettivo si debba necessariamente intervenire anche - e, forse, soprattutto - sui mercati digitali è, semplicemente, un incidente dovuto all'inestricabile intreccio che l'oligopolio delle big tech ha creato tra controllo del mercato della comunicazione digitale e controllo della società. Nessuna sorpresa, beninteso. Se è vero che quella che nella quale stiamo vivendo è la società dei dati e dell'informazione è, piuttosto scontato, verrebbe da dire pacifico, che controllare i mercati dei dati e dell'informazio ne significa controllare la società globale e che per governare la seconda non si può che intervenire sui primi. Basta scorrere le principali novità che il Digital Service Act dovrebbe portare con sé - il condizionale è d'obbligo perché non si conosce ancora il testo definitivo sul quale le Istituzioni Uè hanno raggiunto l'accordo - per averne conferma. Il Digital Service Act (Dsa), infatti, intende imporre trasparenza ogni qualvolta qualcuno investe denari per spingere la diffusione di un contenuto e ogni qualvolta un utente venga identificato come destinatario di uno specìfico contenuto in ragione della sua appartenenza a un certo profilo vero o presunto o ogni qualvolta gli venga raccomandato un determinato contenuto. E tutto questo a prescindere dalla circostanza che il contenuto in questione sia una pubblicità commerciale, una notizia di attualità o la raccomandazione di un film, di un brano musicale o di un servizio del quale fruire. La trasparenza è il primo passo per garantire agli utenti più controllo da una parte sui propri dati personali e dall'altra sulla «dieta mediatica» loro suggerita - quando non imposta o, almeno, indotta - dai fornitori dei servìzi digitali, a cominciare, naturalmente, dagli oligopolisti ovvero dalle famose Big Tech. Ma il legislatore europeo intende anche mettere al bando ogni genere di profilazione quando relativa ai minori e ogni genere di profilazione basata sui dati particolari. E non basta perché il Dsa si preoccupa anche di mettere nero su bianco che la crittografia end to end e l'anonimato di chi pubblica un contenuto non possono essere esclusi, ne vietati.

Ma la ragione principale del Dsa sono le nuove regole sulla responsabilità dei gestori delle grandi piattaforme in relazione ai contenuti pubblicati dai loro utenti. Si tratta della questione più spinosa di tutte, di una partita da giocare camminando in perfetto equilibrio su un'asse sottilissima dalla quale spesso, sin qui, si è scivolati giù da una parte o dall'altra. Meno si responsabilizzano i gestori delle piattaforma di intermediazione dei contenuti in relazione ai contenuti pubblicati dagli utenti, più si legittima la diffusione planetaria di ogni genere di contenuto-spazzatura, variamente tossico per i mercati, la cultura e le democrazie. Contestualmente il Dsa - ed è un passo avanti significativo nella direzione della libertà di informazione - garantisce agli utenti il diritto di poter contestare ogni decisione con la quale un loro contenuto venga rimosso dal gestore di una piattaforma così come ogni decisione di loro «ostracismo digitale», dapprima davanti al medesimo gestore della piattaforma e, quindi, davanti a un Giudice o a un'Autorità. Forse non basterà perché i gestori delle piattaforme continueranno, nella sostanza, a decidere quali contenuti far circolare online e quali condannare all'oblio così come quali utenti ostracizzare dalle loro piazze digitali e, forse, al riguardo, sarebbe stato necessario più coraggio,

Insomma, il Dsa guarda a un profilo dell'ecosistema digitale che è altro rispetto a quello economico e finanziario, altro e, probabilmente, più importante. E in questo senso la sottile linea rossa che sta spingendo Elon Musk, l'uomo più ricco del mondo, a comprare il 100% di Twitter, diventa, forse, più facilmente percettibile. Perché anche Musk, probabilmente, non vuole comprare Twitter semplicemente perché fiuta un affare, affare del quale, anzi, la più parte degli analisti finanziari in giro per il mondo, numeri alla mano, dubita seriamente giacché il patron di Tesla ha messo sul tavolo una cifra che, allo stato, appare difficilmente compatibile con le più rosee previsioni di crescita di Twitter. Ma, forse, Musk vede in Twitter esattamente quello che le Istituzioni europee, nel porre mano al Dsa, hanno visto nell'ecosistema mediatico-digitale globale, ovvero uno strumento di controllo di massa della società. Solo che l'Europa vuole provare a governarlo per scongiurare il rischio che i signori dei mercati che vi operano diventino anche signori della nostra società mentre Musk vuole garantirsi il controllo assoluto su uno dei protagonisti di quell'ecosistema.

Scheda

Doc-Web
9764572
Data
26/04/22

Tipologie

Interviste e interventi