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Non portiamo i bambini in guerra anche nella dimensione mediatica - Intevento di Guido Scorza - Italian.Tech

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Non portiamo i bambini in guerra anche nella dimensione mediatica
Nel conflitto tra Russia e Ucraina i volti e i corpi dei minori sono utilizzati come strumento di propaganda da una parte e dall’altra per recapitare messaggi politici
Intervento di Guido Scorza, Componente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali
(Italian.Tech, 3 marzo 2022)

“Mio padre è rimasto a combattere a Kiev”, lo dice un bambino, con gli occhi gonfi di lacrime, in un video che rimbalza senza sosta sui social da giorni. E immagini analoghe affollano ormai il nostro quotidiano mediatico nella dimensione digitale come in quella tradizionale delle televisioni e dei giornali.

I volti e i corpi dei bambini utilizzati come strumento di propaganda da una parte e dall’altra per recapitare messaggi politici – più o meno condivisibili poco conta – in maniera più efficace al cuore, alla testa, alla coscienza delle persone e influire sulla formazione dell’opinione pubblica globale in una direzione o in quella opposta.

I volti, i corpi, le lacrime e la disperazione dei bambini in guerra utilizzati da associazioni di ogni genere per promuovere – anche qui non importa quanto nobile sia lo scopo – raccolte di fondi per le popolazioni colpite dalla guerra.

E gli stessi corpi, gli stessi volti degli stessi bambini ritratti in immagini di disperazione senza eguali condivisi milioni di volte nell’universo dei social network da ciascuno di noi, da gente comune, a supporto di pensieri, ancora una volta, poco conta, quanto condivisibili, dettati, dal cuore, dall’anima o da questo o quell’interesse di parte.

Ma i volti dei bambini utilizzati anche in reportage di guerra che, magari, potrebbero raccontare la stessa storia, con la stessa efficacia, anche mascherando – pixellando come si dice in gergo – quei volti.

In qualche caso l’immagine del bambino in guerra è utilizzata in maniera scientifica e consapevolmente per far leva sul comune senso di umanità delle persone e conferire più forza ed efficacia al messaggio, in altri semplicemente con leggerezza, superficialità magari in assoluta buona fede, semplicemente senza cogliere la gravità del gesto.

In tutti questi casi, però, il minimo comun denominatore è che l’immagine di quei bambini non è utilizzata nel loro interesse ma in nome di interessi diversi, non ha importanza quanto nobili, quanto condivisibili, quanto importanti.

E, però, l’immagine del bambino, come qualsiasi dato personale che lo riguardi, in realtà, dovrebbe entrare e rimbalzare nel sistema mediatico solo quando indispensabile o, ancora meglio, solo quando pubblicarla sia nell’interesse del bambino.

Perché, altrimenti, sempre e per definizione, il bambino non ha niente – ma proprio niente – da guadagnare dall’ingresso del suo volto e dei suoi dati personali nel sistema mediatico globale, un sistema dal quale, probabilmente, non usciranno mai più.

Quelle fotografie e quei dati, nella dimensione digitale, perseguiteranno quei bambini per sempre, saranno li a ricordargli questo dramma quando, magari, il tempo avrà lenito, almeno in parte, le cicatrici che inevitabilmente la tragedia della guerra sta tracciando profonde sulle loro anime.

E, magari, in molti casi li esporranno a conseguenze discriminatorie di carattere sociale, culturale, religioso o politico di ogni genere, conseguenze, forse, oggi, in molti casi persino imprevedibili. E, certamente, quelle immagini finiranno in pasto ad algoritmi di ogni genere per le ragioni più diverse.

Insomma, senza tanti giri di parole, ogni volta che pubblichiamo, condividiamo, usiamo l’immagine riconoscibile e i dati personali di un bambino quello che gli togliamo e i rischi ai quali lo esponiamo sono enormemente superiori a ciò che gli diamo.

Nessuno, bambini in testa, avrebbe meritato di vivere una guerra come quella che si sta vivendo in queste ore e, quindi, forse, varrebbe davvero la pena di evitare di portare, almeno i bambini, in guerra una seconda volta, nella dimensione digitale, utilizzando tanto massicciamente quanto inutilmente i loro volti, i loro nomi, i loro dati personali.

È un obiettivo modesto rispetto a quello di porre fine a questa guerra ma prezioso e raggiungibile con uno sforzo contenuto se condiviso da tutti i media, dai social network, dalle grandi piattaforme di condivisione di contenuti degli utenti e, naturalmente, da ciascuno di noi.

Proviamo a raggiungerlo tutti insieme?

Basta foto con il volto riconoscibile dei bambini e niente loro dati personali in televisione, sui giornali e sui social network salvo a non esser certi che sia nel loro interesse.