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Provvedimento del 21 marzo 2018 [8990411]

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[doc. web n. 8990411]

Provvedimento del 21 marzo 2018

Registro dei provvedimenti
n. 171 del 21 marzo 2018

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano, della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il ricorso pervenuto a questa Autorità il 21 dicembre 2017, con il quale XX, rappresentato e difeso dall’avv. Silvia Boi, ribadendo le istanze già avanzate nei confronti di Google LLC (già Google Inc.) e di Google Italy S.r.l., ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 “Codice in materia di protezione dei dati personali” (di seguito “Codice”), ha chiesto:

- la rimozione di 28 URL -successivamente individuati dalla resistente in apposito elenco numerato- anche dalle versioni extraeuropee di Google, collegati ad articoli rinvenibili a partire dal suo nome e cognome -e in relazione anche alle seguenti chiavi di ricerca: “XX”, “XX” e “XX”- riguardanti un procedimento giudiziario che lo ha visto coinvolto;

PRESO ATTO che il ricorrente ha contestualmente dichiarato di possedere i requisiti per l'ammissione al gratuito patrocinio ai sensi degli artt. 74 e ss. del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e, pertanto, ha richiesto di poter essere esonerato dal pagamento dei diritti di segreteria; 

PRESO ATTO che il ricorrente ha, in particolare, sostenuto:

- che, all’esito del citato procedimento giudiziario, il Tribunale di Cagliari, con sentenza emessa il 19 febbraio 2016, ha disposto la sospensione condizionale della pena e il beneficio della non menzione della condanna, escludendo in tal modo “la pericolosità sociale dell’imputato e per l’effetto non [ha] ritenuto opportuno che il pubblico  venisse a conoscenza della vicenda giudiziaria che lo ha coinvolto”;

- di non svolgere alcun ruolo pubblico e di non essere “mai stato iscritto all’albo degli avvocati (per il quale, peraltro, non ha nemmeno conseguito l’abilitazione data dal superamento dell’esame di Stato) o a quello dei praticanti abilitati al patrocinio”;

- che la permanenza in rete di tali articoli sta “provocando un grave pregiudizio alla [propria] vita sociale e lavorativa” e comunque, la deindicizzazione degli URL non inciderebbe sull’esercizio del diritto di cronaca o sulla libertà di espressione dal momento che “gli articoli non verrebbero eliminati dai siti fonte, dai quali potrebbero essere ripresi e condivisi da chi ne avesse interesse” ed inoltre “a quasi due anni di distanza dalla loro pubblicazione”;

- che, in relazione al profilo temporale va tenuto presente che si tratta di vicende risalenti ad otto anni fa, precisamente all’anno 2009 quando fu presentata una querela nei suoi confronti, per fatti che “il giudice adito, ha ritenuto di minore gravità (art. 609 bis, ult.co. c.p.) e che pertanto per tabulas, non possono essere considerati gravi o recenti”;

VISTI gli ulteriori atti d’ufficio e, in particolare: la nota del 4 gennaio 2018 con la quale questa Autorità, ai sensi dell’art. 149, comma 1, del Codice, ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle richieste dell’interessato, nonché la nota datata 16 febbraio 2018 con cui è stata disposta, ai sensi dell’art. 149, comma 7, del medesimo Codice, la proroga del termine per la decisione sul ricorso;

VISTA la nota datata 16 gennaio e la successiva memoria del 22 gennaio 2018 con le quali Google, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimiliano Masnada e Marco Berliri, in relazione agli URL oggetto di ricorso, dopo aver provveduto a indicarli dal n. 1 al n. 28 in apposito elenco alfabetico riportato nella citata memoria del 22 gennaio 2018, ha rappresentato:

- in via preliminare, di ritenere improcedibile il ricorso, atteso che lo stesso ha ad oggetto domande a fronte delle quali il Garante ha già “rigettato la richiesta di deindicizzazione rispetto a tutti gli URL per cui è oggi causa” con un provvedimento adottato il 16 giugno 2016 (doc. web n. 5440944), che non essendo stato oggetto di appello da parte del ricorrente, ha formato “giudicato tra le parti”;

- che in relazione agli URL indicati dal punto 12 al 25 dell’elenco, gli stessi “non vengono attualmente visualizzati nei risultati del motore di ricerca per le ricerche effettuate digitando il nome del ricorrente”;

- che in relazione agli URL indicati dal punto 26 al punto 28 dell’elenco, di aver adottato, non avendo individuato il nome del ricorrente, misure manuali per impedire il posizionamento della pagina tra i risultati associati al nome dell’interessato nelle versioni europee del motore di ricerca Google;

- con riferimento agli URL dal n. 1 al n. 11 dell’elenco:

• di non poter aderire alle richieste del ricorrente in ragione “di un sussistente interesse della collettività alla reperibilità di informazioni di cronaca relative a reati non di scarsa entità ancora molto recenti”;

• che, nel caso di specie, non possono ritenersi sussistenti i presupposti per l’applicazione del diritto all’oblio sia in ragione del breve lasso di tempo decorso dalla pubblicazione degli articoli (avvenuta nel 2016), sia per via della gravità dei reati contestati al ricorrente “condannato per XX e per detenzione di materiale pedopornografico”, in presenza dei quali “l’insussistenza del diritto all’oblio prescinde dal ruolo svolto dal condannato”; 

- che in relazione alla domanda di “rimozione globale da tutti i domini Google dei contenuti per cui è causa”, che:

• il ricorrente risiede in Italia dove si trova il suo principale centro di interessi;

• le azioni volte alla tutela dei dati personali hanno, in base alle disposizioni della Direttiva 95/46/CE, del Trattato dell’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, un ambito di applicazione limitato al territorio dell’Unione europea medesima;

• come stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12), il bilanciamento di interessi fra diritto all’oblio e libertà di informazione va eseguito sulla base delle normative applicabili nello Stato europeo in cui la richiesta è formulata o, al più, nell’ambito dei sistemi giuridici degli Stati membri dell’Unione europea;

• la questione della “deindicizzazione globale” è attualmente all’esame della Corte di giustizia dell’Unione europea per effetto del deferimento effettuato in data 21 agosto 2017 dal Consiglio di Stato francese chiamato a decidere sull’opposizione presentata da Google avverso una decisione dell’Autorità di protezione dei dati francese (CNIL);

•  onde evitare giudicati conflittuali con l’emananda pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, sarebbe necessario, che il Garante sospendesse il presente procedimento limitatamente all’esame di tale particolare profilo in attesa del deposito della decisione della Corte;

VISTA la memoria inviata il 22 gennaio 2018 con la quale il ricorrente ha contestato quanto rappresentato dalla società resistente;

RITENUTO, in via preliminare, con riferimento all’eccezione di improcedibilità del ricorso avanzata dalla resistente stante la decisione già adottata dal Garante in merito alla stessa vicenda, che, allo stato, sussistono gli elementi per la proponibilità ed ammissibilità del ricorso stesso, considerato che la nuova istanza ex art. 7 del Codice è stata presentata dal ricorrente con un “intervallo non minore di novanta giorni” dalla precedente, in conformità a quanto previsto dall’art. 9, comma 5, del Codice;

RITENUTO di dover dichiarare non luogo a provvedere in ordine alla richiesta di deindicizzazione degli URL indicati dal punto 12 al punto 25 dell’elenco prodotto dalla resistente, considerato che gli stessi non vengono indicizzati nel motore di ricerca nel contesto di ricerche per il nome del ricorrente;

RILEVATO, altresì, con riferimento agli URL indicati dal punto 26 al punto 28 dell’elenco, che Google, non avendo individuato il nome del ricorrente nelle pagine, ha adottato misure manuali per impedire il posizionamento delle stesse tra i risultati di ricerca a questo associati e che pertanto, rispetto ad essi, si deve dichiarare non luogo a provvedere, ai sensi dell’art. 149, comma 2, del Codice;

CONSIDERATO che le richieste di rimozione avanzate con il presente ricorso possono essere prese in considerazione solo con riguardo ai risultati di ricerca reperibili in associazione al nome e cognome dell’interessato e non alle ulteriori chiavi di ricerca “XX”, “XX” e “XX”, tenuto conto del fatto che queste sono state indicate per la prima volta solo nell’atto di ricorso e non citate nell’interpello preventivo rivolto al titolare del trattamento;

RITENUTO, pertanto, di dover dichiarare tali richieste inammissibili ai sensi dell’art. 148, comma 1, lett. b) del Codice; 

CONSIDERATO, altresì che anche l’istanza presentata dal ricorrente e volta ad ottenere la rimozione degli URL indicati anche dalle versioni extraeuropee del motore di ricerca, non risulta aver costituito oggetto di interpello preventivo, ma è stata avanzata per la prima volta solo nell’atto di ricorso e ritenuto, pertanto, di dover dichiarare tale richiesta inammissibile ai sensi dell’art. 148, comma 1, lett. b) del Codice;

RILEVATO che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per disporre la rimozione di risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell’interessato, occorre, in particolare, tenere conto dei criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea C-131/12, del 13 maggio 2014;

CONSIDERATO che le Linee Guida sull’attuazione della citata sentenza emanate dal WP29 il 26 novembre 2014 individuano alcuni criteri generali che devono essere tenuti presenti nei casi di esercizio del diritto all’oblio al fine di effettuare un corretto bilanciamento con il contrapposto diritto/dovere di informazione; rilevato che tra i criteri che devono essere considerati per la disamina delle richieste di deindicizzazione ai motori di ricerca vi è anche quello del trattamento pregiudizievole per l’interessato, laddove questo abbia un impatto sproporzionatamente negativo sullo stesso che non risulta motivato trattandosi di “una condotta impropria di minima rilevanza o significato che non è più (o non è mai stata) oggetto di dibattito pubblico e se non vi è alcun interesse pubblico più generale alla disponibilità di tale informazione” (punto 8 delle Linee Guida);

CONSIDERATO con riferimento al caso in esame che:

- gli URL individuati dal n. 1 al n. 11 dell’elenco rinviano ad articoli recenti in quanto risalenti al 2016, relativi ad una vicenda giudiziaria conclusasi con la sentenza in atti –divenuta definitiva essendo ormai decorsi i termini per proporre impugnazione- che ha disposto la condanna a carico del ricorrente ad una pena detentiva pari a due anni di reclusione con l’applicazione dei “benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna” nel certificato del casellario giudiziale;

- tali benefici hanno lo scopo di favorire il ravvedimento del condannato mediante l'eliminazione della pubblicità della sentenza quale particolare conseguenza negativa del reato, pertanto, la permanenza in rete di tali articoli vanificherebbe la valutazione effettuata in tal senso dal giudice di merito nonché le finalità connesse  a tale istituto e sarebbe, pertanto, idonea ad avere un impatto sproporzionatamente negativo per l’interessato;

RITENUTO pertanto, alla luce di quanto sopra esposto, di dover parzialmente accogliere il ricorso e, per l’effetto, di dover ordinare a Google LLC, ai sensi dell’art. 150, comma 2, del Codice, di provvedere, entro venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, alla rimozione degli URL dal n. 1 al n. 11 dell’elenco;

RITENUTO che sussistano giusti motivi per compensare fra le parti le spese del procedimento in ragione del riconosciuto esonero dal pagamento dei diritti di segreteria e dell’apparente assenza di ulteriori costi del procedimento a carico del ricorrente;

VISTA la documentazione in atti; 

VISTI gli artt. 145 e ss. del Codice;

VISTE le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il dott. Antonello Soro; 

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:

a. dichiara il ricorso inammissibile con riguardo alle richieste di rimozione degli URL reperibili con chiavi di ricerca diverse dal solo nome e cognome e alla richiesta di rimozione degli URL indicati dalle versioni extraeuropee del motore di ricerca, in quanto avanzate per la prima volta con l’atto di ricorso;

b. accoglie parzialmente il ricorso e, per l’effetto, ordina a Google LLC di rimuovere, entro venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, gli URL indicati dal punto 1 al punto 11 dell’elenco, reperibili in associazione al nome e cognome dell’interessato;

c. dichiara non luogo a provvedere sul ricorso in ordine alla richiesta di rimozione con riguardo agli URL individuati nell’elenco in atti:

- dal punto 12 al punto 25, in quanto non indicizzati dal motore di ricerca in connessione al nominativo del ricorrente;

- dal punto 26 al punto 28 rispetto ai quali Google, non avendo individuato il nome del ricorrente, ha dichiarato di aver adottato misure manuali per impedirne il posizionamento tra i risultati di ricerca associati al nominativo dello stesso;

d. compensa fra le parti le spese del procedimento.

Il Garante, nel chiedere a Google, ai sensi dell’art. 157 del Codice, di comunicare quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione al presente provvedimento e di fornire comunque riscontro entro trenta giorni dalla ricezione dello stesso, ricorda che l’inosservanza di provvedimenti del Garante adottati in sede di decisione dei ricorsi è punita ai sensi dell’art. 170 del Codice. Ricorda altresì che il mancato riscontro alla richiesta ex art. 157 è punito con la sanzione amministrativa di cui all’art. 164 del Codice.

Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 21 marzo 2018

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Soro

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia