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Messina Denaro. La riservatezza appartiene a tutti, mostri inclusi - Intervento di Guido Scorza

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Messina Denaro. La riservatezza appartiene a tutti, mostri inclusi
Un frainteso ed equivocato diritto di cronaca sembra aver inghiottito la privacy, ma i limiti dell'interesse pubblico sono indicati dalla legge e dai codici deontologici firmati da giornalisti e editori
Intervento di Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali
(HuffPost, 19 gennaio 2023)

Lo stato di salute di Matteo Messina Denaro è pubblico fin nei minimi dettagli, così come lo sono aspetti personali e personalissimi della sua vita sessuale. All'indomani del suo arresto si è scatenata una rincorsa mediatica con pochi precedenti nella quale i protagonisti si sono ingarellati nel raccontare e pubblicare, ciascuno qualcosa di più: la sua cartella clinica, dettagli sulla sua patologia, il viagra ritrovato nel suo covo, i preservativi.

Un frainteso ed equivocato diritto di cronaca sembra aver inghiottito, con una serie di bocconi che sembrano non aver ancora appagato e soddisfatto gli appetiti e il voyerismo di lettori e telespettatori, la privacy, la riservatezza e l'intimità di una persona che pur avendo probabilmente seminato più dolore, disperazione, odio e violenza di chiunque altro, è e resta un uomo con diritti e libertà inviolabili in uno Stato di diritto. Scriverlo è, purtroppo, impopolare.

Il Tribunale dei media e quello dei socialnetwork emettono sempre sentenze tagliate con l'accetta, decisioni binarie, bianche o nere. Si è colpevoli o innocenti e, nel primo caso, si perde ogni diritto e ogni libertà anche quando la legge le riconosce a chiunque, a prescindere dall'intensità del suo profilo criminale. E, però, questo approccio, in questa vicenda innegabilmente alimentato dai media mainstream che hanno diffuso per primi i dati, gli elementi, i particolari e i documenti in questione, non ha, davvero, niente a che vedere con lo Stato di diritto nel quale ambiamo a vivere e nel nome ed a garanzia del quale abbiamo prima processato e poi arrestato un killer, un carnefice, un assassino, forse persino un mostro come Matteo Messina Denaro.

L'altro giorno, quando i carabinieri lo hanno arrestato è stato un giorno di festa della democrazia perché è alla democrazia che lui e i suoi pari e i loro "compagni di merenda", probabilmente nascosti anche nei ranghi delle istituzioni, per decenni hanno attentato. Ma un istante dopo è accaduto che proprio mentre si celebrava questa straordinaria festa della democrazia, in molti - troppi per la verità - hanno violato e profanato i principi costituzionali sui quali questa democrazia, la nostra democrazia è fondata, rendendo pubblici, senza alcuna giustificazione, necessità, bisogno informazioni e dati che avrebbero potuto e dovuto restare privati senza nulla togliere alla cronaca di un momento della vita del Paese destinato, certamente, a entrare nelle pagine della nostra storia.

Perché diciamoci la verità, la pubblicazione della cartella clinica di Messina Denaro non toglie e non aggiunge niente né alla storia della sua latitanza ultratrentennale, né a quella della sua cattura. L'una e l'altra avrebbero potuto essere raccontate limitandosi a parlare di una persona colpita da una grave patologia senza bisogno di raccontare lo stadio del tumore, le sue caratteristiche, l'organo colpito e quanto altro abbiamo letto in queste ore. E, allo stesso modo, che abbia avuto una latitanza diversa da altri suoi illustri e meno illustri "colleghi" di Cosa nostra, meno riservata, più ispirata alla bella vita nonché alla frequentazione del gentil sesso, avrebbe potuto essere raccontato senza bisogno di soffermarsi sul viagra o sui preservativi trovati in uno dei suoi covi.

Si dice spesso che è difficile identificare i confini del diritto di cronaca, i limiti dell'interesse pubblico a conoscere fatti e misfatti specie di personaggi pubblici e, talvolta, è davvero così. Ma non in questo caso. Lo dice la legge - quella sulla privacy -, lo dicono i codici deontologici firmati dai giornalisti e dagli editori e dovrebbe dirlo, ancora prima, il comune senso di civiltà. In questo caso non cerchiamo alibi che non ci sono. In questo caso chi ha scritto e chi ha letto, chi ha pubblicato la cartella clinica e chi l'ha analizzata, chi ha fatto rimbalzare in televisione le parole "viagra" e "preservativi" e chi le ha raccolte e condivise sui social, tutti, nessuno escluso, avrebbe potuto - e, in molti casi - avrebbe dovuto rendersi conto che facendolo si stava erodendo, travolgendo, cancellando quella linea di confine tra il pubblico e il privato al cui rispetto ha diritto persino il più feroce degli assassini, dei macellai e dei mostri.

Almeno se vogliamo continuare a vivere in uno Stato di diritto e conservare il diritto di puntare l'indice all'indirizzo di Paesi, vicini e lontani, che non sono Stati di diritto, che sono indietro di secoli in termini di civiltà giuridica, etica e cultura, Paesi nei quali i criminali sono trattati, più o meno, come, in questa occasione, in alcuni passaggi, abbiamo trattato Matteo Messina Denaro. Altrove torturano, impiccano e privano dell'ultimo respiro il corpo di una persona, noi, talvolta, persa la bussola della democrazia e dello Stato di diritto, facciamo altrettanto della dignità, dell'identità personale e dei diritti fondamentali dei nostri criminali.

I più non saranno d'accordo, ma questa volta abbiamo sbagliato: quei documenti, quei dati e quelle informazioni personali, semplicemente, non andavano pubblicati perché noi, in Italia, crediamo nella democrazia, nelle regole del diritto e nello Stato di diritto, nel giusto processo, nelle pene e nel rispetto, sempre e comunque, della dignità della persona, di qualsiasi persona, mostri inclusi.