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Provvedimento del 22 luglio 2021 [9702072]

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[doc. web n. 9702072]

Provvedimento del 22 luglio 2021

Registro dei provvedimenti
n. 282 del 22 luglio 2021

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla quale hanno preso parte il prof. Pasquale Stanzione, presidente, la prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, vicepresidente, il dott. Agostino Ghiglia e l’avv. Guido Scorza, componenti ed il cons. Fabio Mattei, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, e regolarizzato in data 24 novembre 2020 con il quale XX, rappresentato e difeso dall’avvocato XX, ha chiesto di ordinare a Google LLC la rimozione, dai risultati di ricerca reperibili digitando il proprio nominativo anche in associazione con i termini “XX” ed “XX”, di alcuni URL collegati ad una vicenda giudiziaria riguardante altra persona, condannata in via definitiva nel XX, nel cui processo egli ricoprì il ruolo di testimone e che, in considerazione del tempo trascorso e della non corrispondenza a verità dei contenuti pubblicati, non possono ritenersi di interesse pubblico;

CONSIDERATO che l'interessato ha, in particolare, lamentato il pregiudizio subito per effetto della perdurante reperibilità dei contenuti indicati in quanto:

i post, di contenuto identico o simile, furono diffusi da anonimi nel XX “con riferimento (all’epoca) a vicenda giudiziaria di 10 anni prima” e dunque, ad oggi, “risalente a 20 anni fa”;

gli stessi si riferiscono “al giudizio assolutorio di primo grado avanti al XX, svoltosi nel periodo XX, concluso con sentenza del XX”, in cui egli rivestì il solo ruolo di testimone, e che venne poi superato “dal grado di appello che decretò la condanna dell’imputato con sentenza definitiva delXX” il cui dispositivo è stato pubblicato nel sito della XX;

nel giudizio di appello egli non fu coinvolto, poiché il giudizio si basò su altra istruttoria e su altre testimonianze;

i contenuti pubblicati, privi peraltro di carattere giornalistico, sono quindi obsoleti e non pertinenti – in quanto risalenti nel tempo e “contrari alla verità accertata con condanna irrevocabile dell’imputato per gravi delitti contro la persona” – e palesemente diretti a screditarlo in quanto “testimoniò legittimamente nel primo processo” contro la persona sopra menzionata;

all’interno dei post sono inoltre riportate, in associazione al proprio nominativo, circostanze non oggettivamente verificabili – quali presunti episodi avvenuti nell’ambito del processo XX di primo grado, gli atti del quale sono coperti da segreto d’ufficio – oltre a commenti ed insinuazioni sul proprio conto, espressione di giudizi resi dall’autore (anonimo) e mai fatti oggetto di accertamento giudiziario, sovrapponendo altresì diversi piani temporali al fine di ricostruire circostanze che nella realtà non si sono verificate e che non avrebbero potuto esserlo per assenza, all’epoca dei fatti descritti, dei presupposti necessari (asserendo, ad esempio, che nel XX su alcune persone per indurle a testimoniare contro l’imputato, mentre in realtà il XX, che presuppone XX avvenuta nel XX, è stato da lui esercitato solo diversi anni dopo);

la diffusione di tali contenuti in associazione al proprio nominativo – anche unitamente ai termini “XX” ed “XX” che lo qualificano in relazione al ruolo svolto e ad una specifica funzione, quella di XX, svolta in passato, e che valgono inoltre a distinguerlo da un omonimo che svolge l’attività di XX – non appare sorretta da alcun interesse pubblico rilevante, come peraltro desumibile dall’assenza di commenti di utenti in relazione ai predetti post, tenuto conto che lo scopo ultimo di questi ultimi consiste chiaramente nella volontà di porre in essere una campagna personale in forma di “rant” (cfr. punto 8 delle Linee Guida del WP Art. 29 del 26 novembre 2014 relative ai criteri per la valutazione relativa alle richieste di rimozione per diritto all’oblio);

VISTA la nota del 8 gennaio 2021 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine a quanto rappresentato nell’atto introduttivo del procedimento e di comunicare la propria intenzione di aderire alle richieste del reclamante;

VISTA la nota del 28 gennaio 2021 con la quale Google LLC ha rilevato:

in via preliminare, l’inammissibilità della richiesta di rimozione degli URL oggetto di reclamo in quanto reperibili tramite chiavi di ricerca diverse dal nome e cognome dell’interessato – nel caso specifico “XX” ed “XX” – essendo necessario che “i link rimossi per le ricerche fondate sul nome e cognome [del medesimo] rimangano accessibili attraverso ricerche svolte sulla base di parole chiave diverse”;

con riguardo agli URL indicati con i nn. da 1 a 9, riportati nella seconda pagina del riscontro fornito, che le relative pagine non risultano visualizzate tra i risultati di ricerca di Google associati al nome del reclamante e di non poter pertanto adottare alcun provvedimento in merito;

con riferimento agli URL indicati con i nn. da 1 a 27, riportati nella seconda e nella terza pagina del riscontro fornito, di non poter accogliere la richiesta dell’interessato in quanto le relative pagine contengono informazioni riferite “al coinvolgimento dell’interessato, in qualità di testimone, in un procedimento instaurato davanti ad un XX contro XX e che, in considerazione del ruolo pubblico svolto dall’interessato, devono ritenersi di interesse per la collettività;

VISTA la nota del 6 febbraio 2021 con la quale l’interessato ha contestato quanto dedotto da Google a fondamento del diniego alla richiesta di rimozione rilevando che:

tra gli URL che Google ha dichiarato di non rinvenire in associazione al proprio nominativo – corrispondenti a quelli indicati con i nn. da 1 a 9 nella seconda pagina del riscontro fornito dalla medesima – quello indicato con il n. 1 (https://...) risulta collegato ad un URL di “redirezione” (https://...), indicato nel reclamo e che “conduce esattamente ai contenuti del Gruppo Google in questione”, rappresentando altresì che anche gli ulteriori URL del medesimo elenco sono stati correttamente indicati, come comprovato da alcuni riscontri forniti dal titolare anteriormente alla proposizione del reclamo e nei quali è stato opposto uno specifico diniego alla rimozione di essi;

sulla base di ciò la richiesta di deindicizzazione deve ritenersi estesa a tutti gli URL indicati nell’atto di reclamo, in quanto esistenti e correttamente indicati, “a prescindere dalla loro attuale momentanea disponibilità”;

l’istanza volta ad ottenere la deindicizzazione dei risultati di ricerca indicati anche con criteri ulteriori rispetto al proprio nome e cognome – nello specifico “XX” ed “XX” – è da ritenersi ammissibile trattandosi di parole chiave specificamente identificative della persona, tramite le quali risulta ad esempio reperibile il primo risultato riportato nel reclamo e che Google afferma non essere attualmente visibile con il proprio nominativo; concepire diversamente l’espressione “a partire dal nome e cognome” contenuta nella sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014 (cd. Google Spain) per limitare la ricerca esclusivamente al nome ed al cognome dell’interessato, significherebbe, di fatto, negare tutela a quest’ultimo;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

nei confronti di Google LLC trova applicazione, per effetto delle attività svolte in ambito europeo attraverso le proprie sedi, il principio di stabilimento e che pertanto i relativi trattamenti sono soggetti alle disposizioni del Regolamento in virtù di quanto previsto dall'art. 3, par. 1;

il trattamento di dati personali connesso all'utilizzo del motore di ricerca di Google risulta tuttavia direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC, avente sede negli Stati Uniti;

tale circostanza è idonea a fondare, ai sensi dell'art. 55, par. 1, del Regolamento, la competenza del Garante italiano a decidere i reclami ad esso proposti con riferimento al proprio territorio nazionale;

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

RITENUTO, preliminarmente, che la richiesta di deindicizzazione avanzata dall’interessato debba essere presa in esame con riferimento a tutti gli URL indicati nell’atto di reclamo in quanto reperibili attraverso una ricerca effettuata “a partire dal nome”, secondo quanto indicato nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014, C-131/12 e precisato nelle “Linee Guida” adottate in merito dal Gruppo Articolo 29 in data 26 novembre 2014 (cfr. Parte I, lett. C), punto 21), e dunque da intendersi come inclusiva anche di ulteriori termini di specificazione, quali quelli prospettati nell’atto di reclamo (cfr. provvedimento del Garante 15 giugno 2017, n. 277, doc. web n. 6692214; provvedimento del Garante del 10 gennaio 2019, n. 10, doc. web n. 9090292), tenuto conto del fatto che si tratta di chiavi di ricerca aventi una stretta attinenza alla dimensione personale dell’interessato in quanto identificativi del ruolo svolto dal medesimo anche nella sua declinazione riferita ad una funzione specifica – quella di XX – esercitata in passato e connessa all’XX;

RILEVATO, con riguardo agli URL indicati con i nn. da 1 a 9 nella seconda pagina del riscontro fornito dal titolare del trattamento, che:

Google ha dichiarato che detti URL non risultano visualizzabili per ricerche condotte con il nome ed il cognome del reclamante e di non poter, pertanto, adottare provvedimenti rispetto ad essi;

l’interessato ha contestato tale riscontro rilevando di aver correttamente indicato i relativi URL i quali, a prescindere dal fatto che fossero più o meno visibili al momento del riscontro reso da Google, sono esistenti e riconducono a pagine indicizzate con criteri di ricerca a sé riferibili, come dimostrato da alcuni riscontri forniti dal titolare del trattamento anteriormente alla proposizione del reclamo e nei quali è stato opposto uno specifico diniego alla rimozione riguardo ad essi;

il reclamante ha eccepito che quanto detto è, ad esempio, verificabile con riguardo all’URL indicato nel predetto elenco con il n. 1  (https://...). il quale appare collegato ad un URL di “redirezione” (https://...) – indicato nel reclamo e che “conduce esattamente ai contenuti del Gruppo Google in questione” – rappresentando che quest’ultimo risulta reperibile “accostando al nome il suo status”;

sulla base di verifiche condotte dall’Autorità utilizzando i criteri di ricerca indicati dall’interessato – e ritenuti, per quanto esposto, ammissibili – alcuni degli URL di cui sopra risultano tuttora reperibili, tenuto conto del fatto che il diverso esito registrato da Google nel proprio riscontro discende presumibilmente dall’utilizzo, quale criterio di ricerca, del solo nome e cognome dell’interessato;

RITENUTO pertanto, per le ragioni sopra esposte ed al fine di garantire effettività alla richiesta di tutela dell’interessato, di dover estendere la valutazione dell’Autorità a tutti gli URL indicati nell’atto di reclamo; 

CONSIDERATO, con riguardo all’istanza di rimozione dei predetti URL avanzata nei confronti di Google LLC, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto all’oblio ai sensi degli artt. 17, par. 1, lett. c), e 21, par. 1, del Regolamento, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, nonché delle più recenti “Linee Guida” n. 5/2019 adottate dall’European Data Protection Board (EDPB) il 7 luglio 2020, contenenti i criteri per l’applicazione del diritto all’oblio da parte dei motori di ricerca alla luce del Regolamento;

RILEVATO che:

i contenuti reperibili tramite gli URL oggetto di reclamo riguardano post anonimi che, pur se pubblicati nel X, riportano informazioni riferite al coinvolgimento dell’interessato, in qualità di testimone, nel processo di primo grado riguardante altra persona, svoltosi nel periodo tra il XX ed il XX e conclusosi con l’assoluzione dell’imputato; tale esito è stato successivamente superato nel XX con la condanna di quest’ultimo avvenuta a seguito dello svolgimento della fase di appello, alla quale il reclamante non ha preso parte e di cui non è fatta menzione all’interno dei predetti post;

benché questi ultimi appaiano essenzialmente diretti ad esprimere un giudizio dell’autore in merito alle motivazioni che avrebbero indotto il reclamante a rendere una testimonianza contraria a XX, le circostanze ai quali i post collegano tale condotta – ovvero il processo di primo grado svoltosi nei confronti del medesimo – risultavano, già all’epoca della loro pubblicazione, risalenti nel tempo e superate da eventi, quali la condanna dell’imputato nel frattempo intervenuta, non menzionati al loro interno ed ai quali la stessa XX ha ritenuto di dare pubblicità mediante la pubblicazione del dispositivo della sentenza nel proprio sito;

i contenuti contestati, peraltro riferiti a fatti particolarmente risalenti nel tempo, rilevano essenzialmente quali commenti personali espressi da soggetto anonimo – nei confronti del quale il reclamante appare peraltro privo di mezzi di tutela alternativi alla richiesta di rimozione avanzata al gestore del motore di ricerca – idonei a causare un pregiudizio al medesimo (cfr. punti 5 e 8 delle citate Linee Guida) e la cui perdurante reperibilità non appare sorretta da ragioni di interesse pubblico tali da ritenersi prevalenti sui diritti fatti valere dall’interessato tramite la propria istanza;

RITENUTO, pertanto, di dover considerare il reclamo fondato in ordine alla richiesta di rimozione dei sopra indicati URL e di dover, per l’effetto, ingiungere a Google LLC, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, di disporne la rimozione quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell’interessato, anche unitamente agli altri criteri di ricerca indicati dal medesimo, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento;

RITENUTO, ai sensi dell’art, 17 del regolamento del Garante n. 1/2019, che ricorrano i presupposti per procedere all’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, relativamente alle misure adottate nel caso di specie nei confronti di Google LLC in conformità all'art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo

RILEVATO, tuttavia, che la misura adottata nel caso in esame nei confronti della predetta società discende da una valutazione effettuata dall’Autorità sulla base delle specificità del singolo caso e che, pertanto, l’iscrizione di essa nel registro interno sopra citato non potrà essere ritenuta, in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, quale precedente pertinente ai fini previsti dall’art. 83, par. 2) lett. c), del Regolamento;

RILEVATO che, in caso di inosservanza di quanto disposto dal Garante, può trovare applicazione la sanzione amministrativa di cui all’art. 83, par. 5, lett. e), del Regolamento;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE il prof. Pasquale Stanzione;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1 lett. f), del Regolamento:

a) dichiara il reclamo fondato con riguardo alla richiesta di rimozione degli URL indicati nell’atto di reclamo e, per l’effetto, ai sensi dell'art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, ingiunge a Google LLC di disporne la rimozione quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell'interessato, anche unitamente agli altri criteri di ricerca indicati dal medesimo, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento;

b) ai sensi dell’art. 17 del regolamento del Garante n. 1/2019, dispone l’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, delle misure adottate nei confronti di Google LLC in conformità all’art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo, senza tuttavia attribuire a tale annotazione – per le ragioni di cui in premessa – valore di precedente in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento, ai fini previsti dall’art. 83, par. 2), lett. c), del Regolamento.

Ai sensi dell'art. 157 del Codice, si invita Google LLC a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto. Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui all'art. 166 del Codice.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 22 luglio 2021

IL PRESIDENTE
Stanzione

IL RELATORE
Stanzione

IL SEGRETARIO GENERALE
Mattei