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Provvedimento del 13 febbraio 2020 [9308726]

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[doc. web n. 9308726]

Provvedimento del 13 febbraio 2020

Registro dei provvedimenti
n. 34 del 13 febbraio 2020

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito, “Regolamento”);

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali, recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, di seguito “Codice”);

VISTO il reclamo presentato al Garante e regolarizzato in data 22 febbraio 2019, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento, con il quale XX ha chiesto di ordinare a   Google LLC la rimozione dai risultati di ricerca reperibili in associazione al proprio nominativo di alcuni URL collegati ad articoli riguardanti una vicenda giudiziaria nella quale il medesimo è stato coinvolto nel 2010 e che si sarebbe conclusa in modo per lui più favorevole rispetto a quanto in essi rappresentato;

CONSIDERATO che l'interessato ha, in particolare:

lamentato il pregiudizio derivante alla propria reputazione personale e professionale, in relazione al quale ha peraltro proposto querela, a causa della perdurante reperibilità in rete di informazioni da ritenersi non più attuali tenuto conto degli sviluppi processuali della vicenda;

rappresentato che la sentenza pronunciata nel 2012 in grado di appello, con la quale è stata confermata a suo carico la condanna pronunciata in primo grado, è stata annullata nel 2014 dalla Corte di Cassazione con rinvio ad altro giudice che nel 2017 lo ha assolto da uno dei capi di imputazione per insussistenza del fatto, confermando invece la decisione con riguardo al secondo reato contestato ed avverso la quale è stato proposto ricorso innanzi al giudice di legittimità;

ha rilevato di non ricoprire alcun ruolo pubblico tale da giustificare la diffusa conoscibilità di vicende ormai risalenti nel tempo, definite, in parte, in modo diverso da quanto riportato negli articoli reperibili in rete;

VISTA la nota del 25 marzo 2019 con la quale l’Autorità ha chiesto al titolare del trattamento di fornire le proprie osservazioni in ordine a quanto rappresentato nell’atto di reclamo;

VISTA la nota del 9 aprile 2019 con la quale Google LLC, rappresentata e difesa dagli avv.ti XX, XX e XX, ha comunicato:

di non poter aderire alla richiesta di rimozione avanzata dal reclamante trattandosi di notizie recenti riguardanti "un reato, quello di favoreggiamento personale, per il quale il sig. XX è stato condannato anche dalla Corte di Appello di (...)" nel maggio del 2018, tenuto peraltro conto del fatto che all'epoca dei fatti "svolge[va] (...) la professione di avvocato" e che la condotta contestata sarebbe stata posta in essere nella sua qualità di funzionario pubblico;

che, nel caso in esame, non potrebbe pertanto ritenersi sussistente il requisito del trascorrere del tempo, presupposto fondamentale per l'esercizio del diritto all'oblio, e che, ai fini del bilanciamento con i diritti dell'interessato, occorre tenere comunque conto dell'interesse del pubblico alla conoscibilità di informazioni connesse a reati gravi commessi nell'esercizio di funzioni pubbliche tuttora ricoperte dal medesimo;

il reclamante è stato, infatti, condannato "per favoreggiamento personale (...) poiché avrebbe intralciato lo svolgimento delle indagini da parte delle autorità competenti in relazione a reati legati al narcotraffico, sfruttando la sua posizione di funzionario pubblico (...) tanto che decisive, ai fini della sua condanna, paiono essere state le analisi della documentazione acquisita presso il (...), ente presso cui prestava servizio all'epoca dei fatti e presta servizio tuttora";

VISTA la nota del 3 giugno 2019 con la quale l'interessato, nel fornire le proprie osservazioni in merito a quanto dedotto dal titolare del trattamento, ha rappresentato:

che subordinare la reperibilità sui motori di ricerca di notizie attinenti ad un procedimento penale alla definizione di quest'ultimo rischia, alla luce della durata media dei processi nel nostro Paese, di rendere la stessa sostanzialmente perpetua;

di non essere un professionista iscritto ad albi in quanto non svolge attualmente la professione di avvocato, né la svolgeva all'epoca dei fatti, precisando che l'inquadramento rivestito all'interno dell'ente di appartenenza - che è un ente pubblico economico - non è certo di rango elevato, venendo con ciò a mancare il presupposto del ruolo ricoperto quale elemento atto a giustificare l'interesse del pubblico alla reperibilità dell'informazione;

che la ricostruzione secondo cui il reato di favoreggiamento, per il quale é stata confermata la condanna in sede di giudizio di rinvio, sarebbe stato commesso nell'esercizio della sua funzione non sarebbe corrispondente al vero – in quanto nella sentenza vi sarebbe un unico passaggio nel quale si fa riferimento ad alcuni documenti acquisiti dalla Polizia Giudiziaria presso il luogo in cui svolge la sua attività, ma che riguardano esclusivamente un prestito domandato al datore di lavoro per l'esecuzione di lavori  edili – eccependo che, qualora detta circostanza fosse stata accertata, sarebbe stato licenziato e la pena inflitta sarebbe stata più elevata;

rilevato che anche la notizia diffusa all'epoca dai quotidiani, che lo qualificavano come avvocato, é destituita di fondamento in quanto finalizzata a dare maggiore risalto alla notizia "sulla scorta delle solite puntuali informazioni confidenziali della polizia giudiziaria";

VISTA la nota del 3 luglio 2019 con la quale il reclamante ha chiesto la sospensione della decisione del reclamo in attesa della definizione del giudizio pendente presso la Corte di Cassazione a seguito di reclamo da lui proposto avverso la sentenza pronunciata dal giudice del rinvio nel maggio 2018;

VISTA la nota del 20 novembre 2019 con la quale l'Autorità ha chiesto informazioni in ordine all’esito giudiziario del predetto giudizio;

VISTE le note del 4 dicembre 2019 e del 30 gennaio 2020 con le quali l'interessato ha comunicato l’avvenuta pronuncia di inammissibilità del suo ricorso da parte della Corte di Cassazione, manifestando la volontà di avanzare avverso di essa, con riguardo al reato per il quale è stato condannato, ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo;

CONSIDERATO, preliminarmente, che:

come comunicato da Google alle Autorità di controllo europee, il trattamento di dati personali connesso all’utilizzo del proprio motore di ricerca da parte degli utenti risulta direttamente gestito, anche per il territorio UE, da Google LLC avente sede negli Stati Uniti;

la competenza del Garante a trattare i reclami proposti nei confronti della società resistente risulta pertanto fondata sull’applicazione dell’art. 55, par. 1, del Regolamento in quanto la società risulta stabilita all'interno del territorio italiano tramite Google Italy, secondo i principi fissati dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12);

CONSIDERATO che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, in un procedimento dinanzi al Garante, dichiara o attesta falsamente notizie o circostanze o produce atti o documenti falsi ne risponde ai sensi dell'art. 168 del Codice “Falsità nelle dichiarazioni al Garante e interruzione dell’esecuzione dei compiti o dell’esercizio dei poteri del Garante”;

CONSIDERATO, con riguardo all’istanza di rimozione degli URL indicati nell'atto introduttivo che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere legittimamente esercitato il diritto all’oblio, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea;

RILEVATO, con riguardo a detti URL, che:

il contenuto reperibile per il tramite di essi riguarda informazioni, ferme al 2011, relative ad una condanna subita dal reclamante e successivamente fatta oggetto di una parziale riforma con assoluzione del medesimo relativamente ad uno dei reati contestati;

le notizie ivi riportate, reperibili in associazione al suo nome e cognome, appaiono le uniche presenti sulla rete e non risultano aggiornate alla luce degli sviluppi successivi maggiormente favorevoli all'interessato, tenuto anche conto del fatto che, con riguardo al secondo dei reati contestati, la condanna subita, pari ad 8 mesi di reclusione, è assistita dal beneficio della sospensione condizionale della pena;

sulla base della ricostruzione contenuta negli atti giudiziari depositati in atti non appare chiaro in che modo la condotta tenuta dal reclamante all'epoca dei fatti sarebbe stata connessa alla funzione svolta dal medesimo all'interno dell'ente nel quale tuttora opera, né appare confermato lo svolgimento dell'attività professionale di avvocato tenuto conto del fatto che lo stesso ha dichiarato di non essere iscritto in alcun albo professionale e che tale circostanza non risulta altrimenti comprovata;

in virtù di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 24 settembre 2019, causa C-136/17 il gestore di un motore di ricerca è tenuto, con riguardo al trattamento dei dati giudiziari di cui all'art. 10 del Regolamento europeo, ad adottare le medesime cautele imposte agli altri titolari del trattamento, pur dovendosi tenere conto della necessità di bilanciare il diritto alla protezione dei dati dei singoli interessati con il diritto della collettività ad essere informata laddove la conoscibilità di talune informazioni sia da ritenersi strettamente necessaria;

in quest'ultima ipotesi la Corte, al punto n. 77 della sentenza, dispone altresì che, in tale caso, ovvero qualora la reperibilità di informazioni relative a fasi ormai superate di un procedimento giudiziale che abbia coinvolto l'interessato sia da ritenersi giustificata alla luce dell'interesse prevalente del pubblico ad avervi accesso, il motore di ricerca dovrà "sistemare l’elenco dei risultati in modo tale che l’immagine globale che ne risulta per l’utente di Internet rifletta la situazione giudiziaria attuale”, ordinandoli quindi sulla base dei risultati di ricerca più recenti;

nel caso in esame, in associazione al nominativo dell'interessato, risultano reperibili in rete solo articoli risalenti al periodo 2010/2011 che danno atto dell'intervenuta condanna dell'interessato a tre anni di reclusione per entrambi i reati originariamente contestati, senza a che a ciò si accompagni un aggiornamento interno all'articolo, né un aggiornamento attuato altrimenti mediante la reperibilità in rete di articoli contenenti   informazioni giudiziarie recenti;

tenendo conto di tutti gli elementi sopra esposti si ritiene, pertanto, che il trattamento di dati giudiziari non aggiornati riferiti al reclamante tramite il motore di ricerca risulti fuorviante ed in contrasto con i principi di esattezza ed aggiornamento dei dati espressamente previsti dal Regolamento (cfr. art. 5, par. 1, lett. d)), nonché con quanto affermato dalle citate “Linee Guida” (cfr. punto 4 della Parte II);

RITENUTO, alla luce di quanto sopra esposto, di dover considerare il reclamo fondato in ordine alla richiesta di deindicizzazione degli URL indicati nell’atto di reclamo e di dover, per l’effetto, ingiungere a Google LLC, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, di rimuovere, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, i predetti URL quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell’interessato;

RITENUTO che ricorrano i presupposti per procedere all’annotazione nel registro interno dell’Autorità di cui all’art. 57, par. 1, lett. u), del Regolamento, relativamente alle misure adottate nel caso di specie in conformità all'art. 58, par. 2, del Regolamento medesimo;

RILEVATO, tuttavia, che la misura adottata nel caso in esame nei confronti di Google LLC discende da una valutazione effettuata dall’Autorità sulla base delle specificità del singolo caso e che, pertanto, l’iscrizione di essa nel registro interno sopra citato non potrà essere ritenuta, in eventuali futuri procedimenti incardinati nei confronti del medesimo titolare del trattamento,quale precedente pertinente ai fini previsti dall’art.83, par.2) lett. c), del Regolamento;

RILEVATO che, in caso di inosservanza di quanto disposto dal Garante, può trovare applicazione la sanzione amministrativa di cui all’art. 83, par. 5, lett. e), del Regolamento;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE la dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell’art. 57, par. 1 lett. f), del Regolamento dichiara il reclamo fondato con riguardo alla richiesta di deindicizzazione degli URL oggetto di richiesta e, per l’effetto, ai sensi dell'art. 58, par. 2, lett. c) e g), del Regolamento, ingiunge a Google LLC di disporne la rimozione, nel termine di venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, quali risultati di ricerca reperibili in associazione al nominativo dell'interessato.

Ai sensi dell'art. 157 del Codice, si invita Google LLC a comunicare, entro trenta giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione a quanto ivi prescritto. Si ricorda che il mancato riscontro alla richiesta di cui sopra è punito con la sanzione amministrativa di cui all'art. 166 del Codice.

Ai sensi dell’art. 78 del Regolamento, nonché degli artt. 152 del Codice e 10 del d. lg. 1° settembre 2011, n. 150, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria ordinaria, con ricorso depositato, alternativamente, presso il tribunale del luogo ove risiede o ha sede il titolare del trattamento ovvero presso quello del luogo di residenza dell'interessato entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 13 febbraio 2020

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Bianchi Clerici

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia