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Provvedimento del 5 aprile 2018 [8994741]

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[doc. web n. 8994741]

Provvedimento del 5 aprile 2018

Registro dei provvedimenti
n. 205 del 5 aprile 2018

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, alla presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vice presidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;

VISTO il ricorso presentato al Garante in data 6 febbraio 2018 da XX, rappresentato e difeso dagli avv. Paolo Zucconelli e Patrizia De Nardi, nei confronti di Google LLC (già Google Inc) e Google Italy s.r.l., con il quale il ricorrente, ribadendo le istanze già avanzate ai sensi degli artt. 7 e 8 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali (di seguito “Codice”), ha chiesto:

- la rimozione, dalla lista dei risultati del motore di ricerca gestito dalla resistente ottenuti digitando “XX” e “XX”, di n. 35 Url specificamente indicati nell’atto introduttivo del ricorso;

- la liquidazione in proprio favore delle spese del procedimento;

CONSIDERATO che il ricorrente ha, in particolare, rappresentato:

- che gli Url indicati rimandano ad articoli, tuttora disponibili on-line, aventi ad oggetto un episodio avvenuto il 20 novembre 2015 quando egli era direttore marketing della XX S.p.A., nota società attiva nell’industria dolciaria;

- in particolare, che la XX S.p.A., dopo aver diffuso un messaggio pubblicitario, duramente criticato sulla rete perché ritenuto omofobo, ne disponeva l’immediato ritiro per poi ripubblicarlo con un diverso contenuto;

- di aver commentato l’episodio tramite il proprio Profilo Facebook personale complimentandosi per la immediata reazione e le scuse della XX S.p.A., ma, proprio per tale intervento apparso sul profilo social aziendale, veniva denigrato sulla rete per aver egli taciuto il proprio ruolo di direttore marketing (nel frattempo scoperto sui social);

- che la notizia veniva poi ripresa da numerosi giornali e siti Internet “ed è tuttora disponibile on line, stante la perpetua memoria della rete”;

- di aver in seguito concluso consensualmente il proprio rapporto di lavoro con la XX S.p.A (che versa attualmente in una situazione di grave difficoltà finanziaria), avendo intrapreso una nuova esperienza lavorativa, sempre come direttore marketing, presso una nota società nel settore della moda;

CONSIDERATO inoltre che il ricorrente, sostenendo come, nel caso di specie, risulti violato il proprio diritto all’identità personale, ha ribadito la fondatezza della propria richiesta di deindicizzazione in virtù del dettato normativo di cui all’art. 11 del Codice ed anche in base alle previsioni contenute nella nota sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciata il 13 maggio 2014 nella causa C-131/12 (c.d. sentenza “Costeja”), evidenziando in particolare:

- l’attuale mancanza di interesse pubblico alla conoscibilità di notizie ormai obsolete e non aggiornate, stante il lasso di tempo trascorso degli eventi ed il venir meno del proprio ruolo di direttore marketing della XX S.p.A.;

- che la perdurante reperibilità dei contenuti in questione è fonte di pregiudizio per la sua reputazione lavorativa, tenuto conto che dagli stessi si ricava una “rappresentazione fuorviante, parziale, molto negativa, non aggiornata” della propria persona;

VISTI gli ulteriori atti d’ufficio e, in particolare, la nota del 20 febbraio 2018 con la quale questa Autorità, ai sensi dell’art. 149, comma 1, del Codice, ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle richieste dell’interessato;

VISTA la nota del 26 febbraio 2018 e le successive del 7 e 28 marzo 2018, con le quali Google, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marco Berliri e Massimiliano Masnada, in relazione gli Url oggetto di ricorso, dopo aver provveduto a indicarli dal n. 1 al n. 35 in apposito elenco numerato riportato nella citata memoria del 7 marzo 2018, ha dichiarato preliminarmente:

- di ritenere inammissibile il ricorso con riferimento agli Url nn. 31-35 perché non avrebbero formato oggetto di interpello preventivo, dando comunque atto che quelli sub nn. 31, 34 e 35 non risultano indicizzati sul motore di ricerca Google;

- di aver accolto la richiesta di deindicizzazione con riferimento agli Url nn. 9, 14, 17, 22, 27, 29 e 30, che rimandano per lo più a pagine vuote o in cui non è presente il nome dell’interessato, precisando che non risultano allo stato indicizzati sul motore di ricerca Google digitando il nome del ricorrente;

CONSIDERATO che Google, nei citati scritti difensivi, con riferimento ai restanti Url sub nn. 1-8, 10-13, 15-16, 18-21, 23-26 e 28 dell’elenco, attualmente indicizzati nel motore di ricerca nel contesto di ricerche per il nome del ricorrente, ha affermato l’insussistenza dei presupposti enucleati come indicativi del diritto all’oblio nella citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12) ed ulteriormente precisati nelle Linee Guida adottate in merito dal Gruppo Articolo 29 in data 26 novembre 2014, avuto riguardo in particolare: 

- alla non apprezzabilità, nel caso in esame, dell’elemento temporale, tenuto conto del fatto che le notizie di cui si chiede la rimozione risalgono ad un periodo tra il 2015 e il 2017;

- al “ruolo nella vita pubblica” attualmente ricoperto dal ricorrente, tenuto conto che gli articoli riguardano proprio l’attività di direttore marketing svolta dal ricorrente presso la XX S.p.A., ruolo che lo stesso ricopre presso altra società di rilievo nazionale;

- alla stessa natura delle informazioni oggetto di esame nel presente ricorso che sono rappresentate “contenuti giornalistici pubblicati su alcuni dei più importanti organi di stampa nazionali e locali”;

- al fatto che il mancato aggiornamento delle notizie indicizzate dal motore di ricerca non può legittimare l’esercizio del diritto all’oblio, rientrando nel diritto del ricorrente agire nei confronti dei gestori dei siti sui quali è stata originariamente pubblicata la notizia allo scopo di ottenere l’aggiornamento, la rettificazione e l’integrazione dei dati riportati negli articoli; 

VISTA la memoria del 7 marzo 2018 con la quale il ricorrente ha sostenuto:

- di non avere un ruolo pubblico, essendo (come lo era all’epoca dei fatti) “un semplice dipendente con la qualifica di quadro“ e non un libero professionista iscritto in un pubblico albo;

- di essere fortemente pregiudicato dalla perdurante visibilità delle notizie in questione “il cui tenore è manifestamente irrilevante oggi, come in passato” e pertanto privo di interesse pubblico;

- oggetto di richiesta non è mai stata la rimozione dei contenuti in questione da Internet, ma solo l’eliminazione dell’associazione automatica di essi al proprio nome e cognome;

CONSIDERATO in via preliminare che, alla luce della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 e delle richiamate Linee Guida del Gruppo art. 29 (par. c, punto 21) che “la sentenza afferma espressamente che il diritto [di cancellazione] riguarda soltanto i risultati ottenuti attraverso  ricerche condotte a partire dal nome della persona; non viene mai ipotizzata la necessità di una cancellazione completa della pagina dagli indici del motore di ricerca. La pagina dovrebbe restare accessibile attraverso ogni altra chiave di ricerca”; nel caso di specie, sono valutabili le richieste di rimozione degli Url rinvenibili nella lista dei risultati del motore di ricerca gestito dalla resistente a partire dal nome e cognome del ricorrente, non rilevando gli accostamenti del nome ad altre entità dotate di soggettività giuridica (come ad esempio “XX”), considerato altresì che la vicenda descritta negli articoli ai quali gli Url rimandano assume specifica rilevanza per la società coinvolta e il ricorrente ha pubblicato sul profilo social aziendale il post oggetto di successive critiche non in qualità di direttore marketing della medesima azienda, bensì quale privato cittadino, contribuendo a diffondere ulteriormente la notizia;

RILEVATO che le richieste di rimozione degli Url nn. 31-35 dell’elenco prodotto della resistente risultano proposte per la prima volta nell’atto introduttivo e ritenuto, pertanto, di dover dichiarare, in ordine ad essi, inammissibile il ricorso, ai sensi dell’art. 148, comma 1, lett. b), del Codice, pur dando atto che, secondo quanto dichiarato dalla resistente, quelli sub nn. 31, 34 e 35 non risultano comunque indicizzati sul motore di ricerca Google digitando il nome del ricorrente;

RILEVATO con riferimento agli Url nn. 9, 14, 17, 22, 27, 29 e 30, che gli stessi non sono comunque indicizzati sul citato motore di ricerca nel contesto delle ricerche per il nominativo del ricorrente e ritenuto, pertanto, di dover dichiarare, con riguardo ad essi, non luogo a provvedere sul ricorso ai sensi dell’art. 149, comma 2, del Codice;

CONSIDERATO che i restanti Url oggetto di ricorso, vale a dire quelli sub nn. 1-8, 10-13, 15-16, 18-21, 23-26 e 28, risultano accessibili mediante il motore di ricerca gestito dalla resistente utilizzando come chiave di ricerca il nominativo dell’interessato;

CONSIDERATO, con riguardo a tali Url, che, ai fini della valutazione dell’esistenza dei presupposti per ritenere legittimamente esercitato il diritto all’oblio, occorre tenere conto, oltre che dell’elemento costituito dal trascorrere del tempo, anche degli ulteriori criteri espressamente individuati dal WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali attraverso le apposite “Linee Guida” adottate il 26 novembre 2014 a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 13 maggio 2014 (causa C-131/12);

RILEVATO, a tale riguardo, che:

nel caso di specie, le informazioni fanno riferimento ad un episodio, la pubblicazione di commento personale del ricorrente riferito alla vicenda in questione, peraltro apparso per pochi minuti sul profilo social aziendale della XX S.p.A., che non rivestono un carattere di pubblico interesse, tenuto anche conto che nel frattempo egli ha interrotto il proprio rapporto di lavoro con tale società avendo intrapreso una nuova esperienza lavorativa;

il ricorrente non è un personaggio pubblico né rientra tra i soggetti che ricoprono un ruolo nella vita pubblica tale da giustificare l’accesso del grande pubblico alle notizie in esame allo scopo di tutelare eventuali clienti, consumatori o fruitori di servizi messi a disposizione dal ricorrente da comportamenti professionali o pubblici riprovevoli (secondo quanto previsto al punto 2 delle citate Linee Guida del WP Art. 29 – Gruppo Articolo 29 sulla protezione dei dati personali);

la permanenza in rete di tali risultati di ricerca, reperibili in associazione al nome e cognome della medesimo, può ritenersi idoneo a causargli un pregiudizio che non risulta bilanciato dalla sussistenza di uno specifico interesse pubblico alla conoscibilità della vicenda in collegamento con essi (secondo quanto previsto al punto 8 delle citate Linee Guida, trattamento pregiudizievole per l’interessato);

RITENUTO pertanto di accogliere il ricorso ordinando alla resistente di provvedere, entro venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, alla rimozione degli Url nn. 1-8, 10-13, 15-16, 18-21, 23-26 e 28 dell’elenco prodotto dalla resistente a partire dal nome e cognome dell’interessato;

VISTE le decisioni dell’Autorità del 15 gennaio e del 19 ottobre 2005 sulla misura forfettaria delle spese e dei diritti per i ricorsi e ritenuto congruo, nel caso di specie, quantificare detto importo nella misura di euro 500,00, da addebitarsi per euro 250,00 a carico del titolare del trattamento in considerazione degli adempimenti connessi alla presentazione del ricorso, compensando la restante parte per giusti motivi e, in particolare, in ragione della parziale inammissibilità del ricorso;

VISTI gli artt. 145 e ss. del Codice;

VISTE le osservazioni dell’Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;

RELATORE la dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:

a. accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina alla resistente la rimozione, entro venti giorni dalla ricezione del presente provvedimento, degli Url nn. 1-8, 10-13, 15-16, 18-21, 23-26 e 28 dell’elenco dalla stessa prodotto, dai risultati di ricerca ottenuti a partire dal nome e cognome dell’interessato medesimo;

b. dichiara non luogo a provvedere sul ricorso in ordine alla richiesta di rimozione degli Url nn. 9, 14, 17, 22, 27, 29 e 30 del ridetto elenco;

c. dichiara inammissibile il ricorso in ordine alla richiesta di rimozione degli Url nn. 31-35;

d. determina l’ammontare delle spese del presente procedimento nella misura forfettaria di euro 500,00, di cui euro 250,00 da addebitarsi al titolare del trattamento, che dovrà liquidarli direttamente a favore del ricorrente; compensa la restante parte per giusti motivi.

Il Garante, nel chiedere a Google, ai sensi dell’art. 157 del Codice, di comunicare, entro trenta giorni dalla ricezione del presente provvedimento, quali iniziative siano state intraprese al fine di dare attuazione allo stesso, ricorda che l’inosservanza di provvedimenti del Garante adottati in sede di decisione dei ricorsi è punita ai sensi dell’art. 170 del Codice.

Ai sensi degli artt. 152 del Codice e 10 d.lgs. n. 150 del 2011, avverso il presente provvedimento può essere proposta opposizione all’autorità giudiziaria, con ricorso depositato al tribunale ordinario del luogo ove ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, entro il termine di trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento stesso, ovvero di sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.

Roma, 5 aprile 2018

IL PRESIDENTE
Soro

IL RELATORE
Bianchi Clerici

IL SEGRETARIO GENERALE
Busia